Don Andres nel mondiale di Mandela
L'anelito verso la gloria più forte della sete di vendetta. Si colora del rosso della Spagna la prima Coppa del Mondo africana, un magico appuntamento di prime volte, rinnegate storia e tradizione. Lo sport spagnolo cannibale, trionfa finalmente anche nel calcio, dopo il tennis, i motori, il basket, un esempio per tutti. La giovane Nazionale di Del Bosque non ha bisogno di incantare, per portare a casa la Coppa del Mondo, la prima delle sua storia, alla sua prima finale, rispettati i pronostici dopo centoventi minuti: non tutti belli, tutti palpitanti, tutti sotto il segno di un agonismo fin troppo acceso. Gli olandesi, i profeti del calcio totale, si affidano alla difesa, al gioco duro, al contropiede che fa leva sulla bravura di Robben, non riescono sfatare il mito delle finali mondiali perse, e stavolta l'arbitro non c'entra, anzi è la Spagna che può lamentarsi di Webb, qualche torto lo ha sofferto, e neanche di dimensione irrilevante. La firma di Don Andres sulla vittoria è un inno al talento puro. Come in ogni finale mondiale, la tensione ha giocato un ruolo importante nel primo tempo, dominato da un'attenzione vicina alla paura. Sull'insegnamento fornito dal Paraguay, l'Olanda ha esercitato costante pressione alta, rendendo meno fluida la manovra spagnola in fase di impostazione. Ma hanno anche picchiato come fabbri, gli arancioni, tre ammoniti in 28 minuti contro due per gli spagnoli, ma Webb ha incomprensibilmente risparmiato il rosso a De Jong, fallaccio omicida su Xabi Alonso. Un paio di occasioni per la Spagna, miracolo di Stekelenburg su Ramos, pericolose le incursioni di Robben, pochi spunti di Sneijder, ma il gioco ha stentato a decollare, le emozioni quasi esclusivamente sui calci piazzati. Parla, il primo bilancio, di una Spagna sotto tono, però è anche vero che avrebbe meritato la superiorità numerica, grave l'errore di Webb, una finale non giustifica la mancata applicazione della legge, un poliziotto dovrebbe saperlo bene. Ripresa più viva, la freschezza di Jesus Navas, protagonisti i portieri, due volte Casillas su Robben, una Stekelenburg su Villa, pappata di Sergio Ramos. Però infine, nonostante la crescita della Spagna nel finale, novanta minuti non bastano. Occasionissime spagnole, le sprecano i piedi magici di Fabregas e Iniesta, rigore negato, all'Olanda non basta. Rosso per Heitinga, finalizza l'uomo più bravo della partita, Don Andres Iniesta, c'è tempo soltanto per le lacrime: di gioia, di disperazione. La cerimonia di chiusura, di per sé altamente suggestiva, ha regalato anche la presenza di un personaggio leggendario come Nelson Mandela, l'uomo che ha ribaltato la storia del Sudafrica. Ma il Soccer City ha inchiodato gli occhi del mondo su una rituale diverso da tutti gli altri, per la capacità di trasmettere sensazioni irripetibili, per i colori, per i suoni, per la magia di un ambiente che affascina e conquista. Lo ha vinto alla grande, l'Africa, il primo mondiale della sua storia, battendo perplessità e pregiudizi, perfino sul piano organizzativo. Meritano, i nostri fratelli, un grazie di cuore.