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Il trionfo di Gastone, campione e gentiluomo

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Sonocinquanta stagioni dalla sua affermazione, trenta da una morte prematura. Gastone Nencini, da Bilancino di Barberino nel Mugello, colse nel luglio del 1960 la settima vittoria italiana nella lunga storia del Tour, evocando l'Ottavio Bottecchia del 1924 e 1925, il Bartali del '38 e del '48, Fausto Coppi del '49 e del '52. Se salite e discese rappresentano il grande nutrimento delle corse a tappe, di tale peculiarità il ciclista toscano fu interprete perfetto. Quel Tour del '60 scrisse la sua pagina decisiva nella tappa da Millau ad Avignon. Maglia gialla sulle spalle, Nencini affrontò la discesa del Perjuret con le stimmate del campione e l'incoscienza dell'eroe di strada. Antagonista, Roger Rivière, una rara eleganza di corsa, tre titoli mondiali nell'inseguimento ed un dissacrante tempo sull'ora, anno 1958, primo oltre la barriera dei 47 chilometri orari, 47.346. Su quella discesa, Rivière commise l'imprudenza di seguire le spericolate traiettorie centrifughe dell'italiano. In una curva, l'inferno. Un volo di quindici metri, lesione alla spina dorsale, una vita inchiodata nell'invalidità fino al 1976, anno della scomparsa ad appena quaranta anni. Qualche giorno dopo, il 17 luglio, Nencini giunse trionfatore al traguardo finale di una corsa tinta di tricolore, con Graziano Battistini al secondo posto. Giorni prima, sfiorando la retorica, il Tour aveva fatto registrare un bizzarro strappo al protocollo, bloccandosi per qualche minuto nel passaggio vicino alla residenza di campagna di Colombey-les-Deux-Églises del Presidente della Repubblica. Dalla voce e dalla stretta di mano di Charles De Gaulle, Nencini aveva ricevuto il viatico: «bonne chance, vous allez gagner le Tour!». L'affermazione sul traguardo parigino del Parco dei Principi completò degnamente la carriera agonistica del ciclista. Tre anni prima, Nencini s'era imposto nel Giro d'Italia, cucendo una ferita risalente alla corsa del 1955, quando l'attacco prosaico e velenoso di Fausto Coppi e di Fiorenzo Magni nel trasferimento da Trento a San Pellegrino e l'impietosa volgarità di una foratura avevano privato il toscano d'un successo sacrosanto. Dopo la sua vittoria, la stampa francese elesse a proprio beniamino l'italiano: subito dopo l'arrivo finale, come primo atto Nencini aveva reso omaggio alla sfortuna di Rivière, rimettendo i fiori spettanti al vincitore nelle mani di Marcel Bidot, direttore tecnico della squadra francese.Aug. Fra.

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