L'altra Wimbledon
Peccato che si siano fermati. Ormai ci eravamo abituati alla compagnia di questi due braccioforte che si sparacchiavano addosso ace a 200 km orari, li avevamo adottati idealmente e gli avremmo anche pagato la clinica riabilitativa dopo una partita del genere. Ma John Isner e Nicolas Mahut hanno dimostrato di essere più mollaccioni di quanto non si dica in giro: non sono stati neanche in grado di arrivare a 150 game nel quinto set, fermandosi appena a 138: 70-68 per Isner, questo il risultato finale del set più lungo della storia, giocato nell'ambito della partita più lunga mai disputata, al termine della quale le racchette si sono rivolte immediatamente ad Amnesty International. E va bene, siete stati bravi, ma non occorreva per forza giocare per 11 ore (e 5 minuti) per convincerci, suvvia, ci fidavamo anche con un normale 6-4. Anche perché sarà bello l'evento epocale, sarà che per una volta si parla di Guinness dei primati senza riferirsi a birra irlandese e scimpanzè, sarà che 112 ace a 103 (per Isner) rappresentano un record che durerà almeno fino all'invenzione del braccio bionico per tennisti; sarà tutto quello che volete, ma non si può negare che gli spettatori, aspettando per tre giorni che finisse una partita di primo turno, hanno potuto riconsiderare a fondo il concetto di «perdere tempo». D'altro canto, come ignorare le varie problematiche conseguenti all'inopinato dilungarsi dell'incontro? L'improvvisa usura del terreno dell'ormai celebre campo numero 18 crea allarme tra i giardinieri di Wimbledon, mentre Marco Pannella, al grido di «erba libera!», ha indetto uno sciopero della fame contro il calpestìo eccessivo del prato. Infine un retroscena: al 120esimo game della partita, i servizi segreti inglesi erano sul punto di abbattere i due giocatori. Solo l'intervento della Regina Elisabetta, giunta appositamente a Wimbledon dopo 33 anni, ha scongiurato l'operazione. Buon per Mahut, che tra l'altro sopravvivendo è diventato proprietario del campo: per usucapione.