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Bryant Voglia d'Italia

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Kobe Bryant

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Non oggi, ma la promessa è diventata pubblica e un giorno, c'è da crederlo, si trasformerà in realtà. «Sì, è vero, mi piacerebbe moltissimo chiudere la carriera giocando in Italia. Ho tanti amici a Reggio Emilia e Milano. Adesso no, ma è un sogno che un giorno realizzerò». Parole e musica, soprattutto per le orecchie dei tifosi dell'Armani Jeans, di Kobe Bryant.   Milano, quando le primavere di «Black Mamba» avranno superato di un bel po' la trentina, sembra l'approdo più logico se la promessa verrà mantenuta. Il motivo è ovvio. Giorgio Armani, proprietario della gloriosa Olimpia, ha costruito gran parte della sua fortuna negli Usa e nello specifico a Los Angeles. E l'eventuale investimento su un Kobe con qualche capello bianco ma ancora in grado di tenere «lectio magistralis» in basket avrebbe un ritorno inimmaginabile. Kobe è rimasto legatissimo all'Italia dove, dopo essere nato a Philadelphia nel 1978, è vissuto tra i 6 ed i 13 anni quando seguì il padre Joe, giocatore con un ottimo passato nella Nba, che continuò ad insaccare canestri, come nelle sue caratteristiche, difendendo i colori della Viola Reggio Calabria, dell'Olimpia Basket Pistoia e della Pallacanestro Reggiana. Non è casuale che le sue figlie portino nomi italiani, Natalia Diamante e Gianna Maria, e che spesso Kobe usi la lingua italiana anche in momenti di gioco come in una discussione con il compagno Vujacic, sloveno che ha giocato a Udine, dicendogli: «Sei più alto di me, che hai paura di schiacciare?». Insomma tutto sembra essere pronto per accogliere nello Stivale uno dei giocatori più forti della Nba che però nel frattempo, dopo aver conquistato il quinto anello contro Boston, s'è trasformato in tifoso di calcio volando in Sudafrica per vedere gli Usa superati dal Ghana 2-1 negli ottavi di finale. «Amo il calcio fin da quando ero bambino, vivevo in Italia, tifavo Milan e sognavo di essere un giorno Van Basten, un giorno Maradona e uno Baggio. Mi dispiace per l'eliminazione dell'Italia e sono fiero degli Usa perché hanno fatto comunque bene. Soprattutto hanno fatto in modo che, per la prima volta, il calcio catturasse davvero l'attenzione degli americani». Poi uno sguardo sul basket. «L'ultimo titolo, contro Boston, è stato il più difficile, e per questo il più divertente: mi piacciono le sfide complicate». Come lo sarà, tra qualche anno, quella che lo attenderà nella sua Italia.

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