Mortificata la genialità di un popolo

Churchill non aveva mica torto. Sosteneva che «gli italiani perdono le guerre come se fossero delle partite di calcio e viceversa». Se il paragone non apparisse irrispettoso per i soldati caduti, ammetteremmo che questo smacco mondiale duole davvero come una nuova Caporetto. Resterà a lungo una ferita aperta sul corpo vivo del Paese, non cicatrizzabile: la memoria collettiva si nutre di gioie condivise - seppur rare - da consegnare all'album dei ricordi, tra bagni nelle fontane, caroselli, tricolori risciacquati con il sapone dell'entusiasmo più naif. Ma chi ha più di cinquant'anni ancora rabbrividisce sentendo nominare la Corea, e non per gli scontri sul 38mo parallelo. Ci può scappare la sconfitta, ma a patto di morire sull'erba, e solo dopo aver riconfermato la cifra dell'italianità. Che non si è mai nutrita di praticume, di bassa operosità senza fantasia, di cieco brancolare sotto un cielo privo di lampi. L'Italia vive inondata dalla bellezza che ha saputo creare nei millenni. Abbiamo un rapporto quotidiano e imprescindibile con il genio applicato all'estetica, con l'estro che sovrasta la metodicità, con un guizzo magari furfantesco, ma da applausi a scena aperta. Inutile citare Leonardo o Michelangelo, Dante o Verdi: basterebbe ricorrere alle barzellette, dove con una trovata facciamo figure migliori di tedeschi, inglesi e francesi. Invece eccoci qui, alle prese con una detronizzazione preparata con caparbietà da un connazionale che non vedeva l'ora di rimettere la barchetta nelle acque versiliane. Uno che l'ha sfangata una volta con il "fattore C", senza capire che alla lotteria non si vince due volte, e ha rovesciato la propria sorte, insozzandola nella protervia di chi pretende di avere ragione a dispetto di tutti. Lippi ci ha defraudati non solo del divertimento di vedere in azione assi come Balotelli, Cassano e lo stesso Totti, ma anche di un sogno estivo del quale sentivamo il bisogno, in una stagione incupita nel clima, ma anche in una crisi di sistema - economica e sociale - dalla quale sarà difficile uscire senza un metaforico colpo di tacco alla Robybaggio, una punizione a foglia morta come quelle che batteva Corso, uno stacco a volo d'angelo come Giggirriva, un dribbling psichico alla Bruno Conti, una parabola astrale alla Del Piero, una zampata perfida alla Paolo Rossi. Abbiamo sempre vissuto oltre le nostre forze, e quando ce la siamo cavata con lo "stellone" patrio è perché confidavamo nel saper vivere meglio degli altri. Abbiamo costruito la Fontana di Trevi e poi trovato il modo di venderla illusoriamente ai turisti, come Totò. Lippi ci ha consegnati al cupo girone di una depressione di popolo: avremmo dovuto capire come sarebbe andata in Sudafrica già a Sanremo, quando era salito sul palco per sostenere Pupo e il principe con quel ridicolo "Italia amore mio". L'inno perfetto per questa grottesca spedizione.