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Il catenaccio non era roba nostra?

Mondiali di calcio Sudafrica 2010, un'azione di Giappone-Olanda

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Catenacciari a chi? L'etichetta che, talvolta con eccessiva superficialità, è stata appiccicata al calcio di casa nostra, trova imitatori che vanno fin troppo oltre il presunto modello originario. Già fulgidi esempi avevano offerto la Svizzera, che del «verrou» ha ancora il brevetto, ma anche la Danimarca, il vertice lo ha però toccato il Giappone, doppio muro davanti all'area per reggere l'urto dell'Olanda, in difficoltà come tutte le squadre di rango di fronte alle tattiche ostruzionistiche. La benedizione viene dai portieri, che ci risparmiano almeno l'avvilimento di troppi frequenti risultati bianchi, certo è imbarazzante vedere orrori a valanga come in questo Mondiale, non tutte le colpe da accollare allo Jabulani che danneggia sopratutto i tiratori, rifiutando caparbiamente di abbassarsi. Reso il dovuto omaggio al giapponese Kawashima e al ghanese Kingson, con il vivido grazie di Sneijder e Holman, da sottolineare come l'Olanda voli verso gli ottavi e come il pari tra il Ghana e un'Australia a lungo in inferiorità numerica, accenda i sogni di riscatto dei tedeschi. Ma oggi le attenzioni vanno rivolte al secondo impegno degli Azzurri, attesi in progresso in un impegno che la modestia dei neozelandesi battezza agevole. Senza neanche lasciarsi tentare da possibili calcoli per l'esito del precedente confronto, a ora di colazione, tra Paraguay e Slovacchia. Ora che il tabellone sembra offrire spiragli incoraggianti, è indispensabile arrivare con una confortante vittoria al confronto decisivo con gli slovacchi, perché poi il faccia a faccia dell'eliminazione diretta sembra fatto apposta per esaltare le nostre propensioni tattiche. Ma naturalmente si dovrà creare in attacco qualche occasione in più rispetto all'avaro bilancio della gara di esordio, anche se Lippi non modificherà in modo sostanziale lo schieramento, probabile la conferma di Gilardino nonostante l'apatia di lunedì. Stasera seconda apparizione del Brasile di Dunga, impensabile che la Costa d'Avorio di Didier Drogba sia rivale altrettanto morbido rispetto ai nordcoreani che, nascondendosi, non possono far lievitare il loro livello qualitativo.

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