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Altro che lumbard, è trionfo tricolore

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CheIvan Basso possa essere un varesino da sette generazioni, in effetti, dev'essere un fattore decisivo nella sua vicenda sportiva di vincitore passato e futuro di Giri d'Italia. O forse no, anche se qualcuno magari ci crede davvero. Che il ciclismo abbia una più consolidata tradizione nelle regioni settentrionali d'Italia è del resto un dato di fatto, ma non vuol dire che le perle non nascano anche altrove. Già Ivan ieri si è sprecato in lodi sperticate all'indirizzo nientemeno che di un messinese come Vincenzo Nibali, considerato da Basso coautore a pieno titolo della splendida affermazione in fieri. Ma se in questo Giro la maglia rosa e il suo vice (Vincenzo ha comunque i gradi di capitano in seconda) hanno avuto un tigre nel motore, ebbene quel felino cresciuto a pane e acqua minerale, venuto da Fiuggi per lasciare un segno nel mondo del pedale, risponde al nome di Valerio Agnoli. È nato il giorno della Befana, ha 25 anni e già da ragazzino era considerato un «bimbo d'oro» del ciclismo, destinato a grandi cose. Tutti ricordano che a 20 anni, nella sua prima Sanremo, ebbe la faccia e la gamba di scattare sul Capo Berta. Dopodiché Valerio ha passato un paio d'anni di alti e bassi prima di approdare, ancora giovanissimo, alla Liquigas, dove sta completando la sua maturazione sportiva. In questo Giro è stato esemplare, per diversi giorni maglia bianca (miglior giovane), poi sacrificatosi per Basso. Venerdì, nella tappa del Mortirolo, ha tirato inesauribile per un paio di salite per preparare il terreno al suo capitano, e dalla corsa rosa esce in una dimensione nuova e prestigiosa. In più, per farlo divertire, quest'anno è passato professionista un suo concittadino e rivale, Stefano Pirazzi, che tra l'altro ieri è stato pure in fuga. Uno stimolo in più per fare sempre meglio, insomma: e un campioncino sta nascendo. Mar. Gra.

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