Sì alla secessione dai laziali
No, non diamo loro la soddisfazione di farci vedere delusi. Avevamo scritto per tempo quanto fosse insensato - per il tifoso romanista - confidare in un «regalo» dei laziali. Poi, ammettiamolo: pur giocandosela alla morte, l'Inter avrebbe probabilmente battuti i biancocelesti. E peccato che la tirannia degli ascolti televisivi abbia impedito la contemporaneità delle partite: tutte, ma sopratutto quella di Bergamo. Con l'Atalanta in vantaggio fino a dieci minuti dalla fine, chissà con quanto furore Brocchi e compagni avrebbero cercato di guadagnarsi la salvezza contro gli Ufo-Robot di Mourinho. Però quello che è accaduto all'Olimpico intristisce: non per il tricolore, ma per l'infima immagine della città di fronte al mondo. Si dice: "ma Totti ha fatto il pollice verso dopo il derby". Cos'era, in fondo? Un romanissimo sfottò (per il quale Lord Reja pretendeva dieci giornate di squalifica), a match concluso. È stata quella la miccia? Per Lazio-Inter si è assistito a qualcosa di molto peggio: un'anticipata, insistita intimidazione non solo verbale (lo sa Lotito che ha ricevuto un proiettile con la minaccia "Se non perdete sei morto") da parte dei tifosi contro la propria squadra. Quel coro "Se vincete ve menamo" che si alzava come un vento mefitico dalla Nord avrebbe chiuso i polmoni al più determinato dei giocatori. E l'esultanza ai gol di Samuel e Motta da parte di chi al collo sfoggiava una sciarpa con l'aquila è stato come il comportamento di quelli che il poeta Zanazzo definiva i "cornuti de San Martino": "che accompagnano la moje a casa dell'amico". La domanda è: in tempi di recessione continentale, si possono spendere fino a 120 euro per spomiciarsi in Tribuna Monte Mario quando i tuoi beniamini ne escono sconfitti a richiesta? Si può ruggire contro il proprio portiere che fa le parate che il contratto gli chiede di tentare? Si può platealmente invocare dagli spalti un tarocco sportivo che graffia la regolarità di un campionato che dura 38 giornate e che sposta - fisicamente - centinaia di migliaia di appassionati in lungo e in largo per la penisola? Sono comportamenti antropologici sottilmente devianti, riti cripto-orgiastici da basso impero. Peggio: è una truffa morale perpetrata non dalla squadra o dalla società, ma dagli ultrà della Lazio, ai quali tutta la comunità degli appassionati di football potrebbe chiedere i danni. Loro obiettano: "si sa che a volte certe partite sono aggiustate". Ne hanno le prove? Le portino ai pm di Calciopoli, facciano denunce per aprire un altro filone dello scandalo scommesse. Ora, chi annusa gli umori del calcio sa quanto possano rivelarsi maleodoranti. I simpatizzanti laziali si mostrano esperti di "come va questo mondo". Si autodefiniscono insider - ma solo come testimoni innocenti - di quel "calcio finto" che domenica era stigmatizzato in uno striscione. Poi però fanno le vittime, piangono perché si sentono marginali al sistema infetto, si impancano a martiri di un complotto pluto-giudaico-romanista che dura da secoli. Così, si alleano ai poteri forti milanesi, aspettandosi gratitudine. Vadano fino in fondo: chiedano la secessione dalla Capitale, pure loro. Finanzino una ristrutturazione della Curva Nord piantandoci sotto delle ruote, e una volta resa semovente la spostino altrove. Traslochino in qualche cantuccio nella regione inquieta dalla quale traggono il nome, o direttamente fra i lumbard, da loro venerati come esempi di civiltà. Saranno accolti a braccia aperte.