Inutile che vi scandalizziate

Perbenisti, moralisti e politici, sempre loro. I primi scoprono che il calcio è malato, i secondi che il pallone non è più uno sport, i terzi si mettono la sciarpa di ordinanza al collo e per una manciata di voti accusano il mondo Lazio. D'accordo, la partita di domenica non sarà riproposta nelle scuole giovanili come raro esempio di sportività: ma da qui a creare un caso nazionale ce ne passa. Se le famiglie non arrivano a fine mese chissenefrega, se però accade qualcosa che fermi l'inesorabile campagna mediatica giallorossa, allora scoppia il caos. I tifosi pagano il biglietto e sono liberi di contestare, come hanno fatto per tutta la stagione, di sostenere la squadra, di essere felici se perde perché si evita una vittoria altrui. De Coubertin è morto e sepolto, basta andare a seguire una partita di ragazzini per capire che o si cambia la cultura del calcio oppure sono tutte parole vuote. Dunque, nessuno si azzardi a discutere l'ansia, l'amarezza, la rabbia dei laziali che sono rimasti a casa (lo stadio presentava larghi vuoti) o hanno scelto di andare allo stadio per «vendicare» l'umiliazione del derby. Fa parte del gioco, è già successo in passato vedere illustri tifosi giallorossi con la maglia del Milan addosso quando la Lazio perse uno scudetto all'ultima giornata. Eppure nessuno si era preoccupato dei valori dello sport o di fermare l'ondata nordista che domina l'albo d'oro tricolore della serie A. Tant'è, se viene fatta da una parte è goliardia, se tocca all'altra è solo una brutta pagina di faziosità. E così da sempre e allora se, per una notte i tifosi dell'Olimpico hanno scelto i colori nerazzurri, non c'è da scandalizzarsi più di tanto. Oltretutto le tifoserie di Lazio e Inter sono gemellate da vent'anni, un'amicizia storica su basi solide che neppure una finale di coppa Uefa persa dai biancocelesti proprio contro i nerazzurri oppure uno scudetto andato in fumo, quello del 5 maggio del 2002, sono riusciti a scalfire. E dire, invece, che tra le due società non corre buon sangue come testimoniano le vicende di Pandev e Ledesma, solo per citare gli ultimi controversi casi di mercato. Se poi vogliamo parlare della squadra, allora di partite come quella di domenica se ne trovano a centinaia negli annali del calcio. Le motivazioni di taluni che prendono il sopravvento sull'appagamento degli altri: tutto qui, nessun biscotto, nessun illecito. Ce ne sono state anche in questo campionato e pure domenica scorsa di sfide dove ci si accontenta o si lascia campo aperto all'avversario con più voglia di vincere. Eppure sembra che il mondo degli onesti si sia accorto solo ora di tutto quello che accade nel circo dorato del pallone (Danimarca-Svezia costò all'Italia l'eliminazione dagli Europei 2004: eppure nel nord Europa c'è un'ottima cultura sportiva). Poi si può discutere la campagna d'odio che ha portato negli ultimi anni il presidente di una squadra di Roma a sperare nel fallimento economico dell'altro, il capitano dello stesso club a festeggiare la retrocessione dei dirimpettai cittadini, il capitano-futuro della stessa a irridere i tifosi avversari annunciando in televisione che aveva passato un pomeriggio a gioire perché la Lazio era terz'ultima due mesi fa e quindi candidata alla retrocessione. Ecco perché è tutto sbagliato, anche l'odio che si respira ormai in questa città. Ma non solo da una parte. Quindi o si resetta il cervello di tutti, oppure si finirà di perdere l'ennesima buona occasione per non fare prevalere il tifoso che è dentro ognuno di noi.