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All'Olimpico si gioca il derby assoluto

Derby

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Motivazioni più intense e più nobili non avrebbe potuto produrre, l'appuntamento calcistico più atteso della primavera romana. Grandissima la partecipazione di una Capitale che qualcuno avrebbe perfino in mente di trasferire nella culla razzista del Nord Est. Da una parte, un sogno di gloria che rimane vivo nonostante il controsorpasso interista, dall'altra la volontà di restituire un'immagine accattivante a una stagione infine dedicata, necessariamente, a obiettivi di minima. Vano cercare orientamenti nella sfida cittadina, anche se i numeri affermano il contrario, cifre imbarazzanti per la classifica, trentuno punti di distacco, ma anche per la differenza reti, più ventitré contro meno cinque. Pressioni per il risultato più leggere da parte laziale, garanti i sei punti sulla terzultima nonostante sia salita, e di molto, la quota salvezza, a causa del relativamente modesto rendimento delle abituali grandi protagoniste, su tutte la Juve delle tredici sconfitte. Molto intensa, invece, la pressione sulla Roma: spera che il primato sia stato ceduto all'Inter in prestito a breve termine, secondo una formula che in casa giallorossa ha sempre funzionato benissimo, anche se in direzione contraria. Proprio sulla serenità trasmessa alla sua schiera, Ranieri ha costruito la fantastica striscia che ha consentito una risalita miracolosa, fino a quella vetta che qualche tempo fa rappresentava uno sbiadito miraggio. Ora la condizione dell'Inter, testimoniata dall'anticipo autorevolmente dominato, ma soprattutto un calendario che sembra sorridere a Mourinho, impongono alla Roma un finale senza possibili distrazioni, a cominciare dall'ostacolo più alto, il derby più importante della storia recente. Conta poco, in questi casi, il gioco delle figurine, che dovrebbe privilegiare nettamente la Roma, anche se l'attuale classifica non testimonia in giusta misura il valore dell'organico laziale, pagate a caro prezzo la dilatazione dei ranghi e qualche scelta societaria più umorale che logica. Facile prevedere che i fattori emotivi siano destinati a gestire l'evento in misura più rilevante rispetto a quelli che la chiave tecnica suggerisce. Comunque vada a finire, Ranieri dovrà essere giudicato come l'artefice di un miracolo, dopo quell'avvio a handicap, ma il suo piccolo prodigio lo sta materializzando anche Edy Reja, la Lazio in serie da cinque giornate e fuori dal baratro. Per i giallorossi agenda fitta di impegni, dopo la semifinale di Coppa Italia a Udine, sperando di proporre un nuovo duello con l'Inter, all'Olimpico arriverà la Samp dei vecchi amici (?) Delneri e Cassano. Che nel frattempo potrebbero dare una mano a Ranieri cancellando a Marassi le superstiti velleità di un Milan nel quale sta diventando tormentato, al di là delle dichiarazioni di vetrina, il rapporto tra società e Leonardo. Fin troppo ricorrenti, nelle vigilie importanti, gli appelli al «bisogna vincere», come se tutte le squadre non avessero questo obiettivo. Ma l'esigenza del risultato non sempre determina le scelte tattiche, nel senso che non è il numero delle punte schierate a determinare poi gli atteggiamenti: quelli sì, realmente decisivi. Comunque non si prevedono alchimie tattiche, la Lazio con il suo 3-5-2 che potrebbe diventare 4-3-3 se il parziale dovesse consigliarlo. Nonostante gli scherzetti in allenamento, mai Ranieri potrebbe rinunciare a Totti, con Vucinic e Toni, anche se la tensione potrebbe condizionarlo, così come l'altro romano verace, Daniele De Rossi. Dalle dichiarazioni dei tecnici, emerge un comune appello alla serenità in campo e fuori, un messaggio che i protagonisti, ma anche le tifoserie, dovrebbero recepire: per regalare a tutti un pomeriggio di sport autentico, lontana ogni tentazione di oltraggio alla civiltà di Roma.

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