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Quella doppietta quasi impossibile

Josè Mourinho, allenatore dell'Inter

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La Roma tifa Inter. Solo in Europa, sia chiaro, ma è un tifo sempre più acceso e convinto. Il secondo fine è evidente, la speranza che la cavalcata nerazzurra in Champions possa costare qualche passo falso nella volata tricolore alla banda di Mourinho. Finora i fatti hanno dato ragione a questo strano rapporto: la Roma, tra l'Inter-Roma dell'andata e la gara di ritorno, ha rosicchiato la bellezza di tredici punti e si è avvicinata in campionato alla sua squadra del cuore in Europa; l'Inter ha superato gli ostacoli Chelsea e Cska Mosca e, dopo sette lunghi anni di clamorosi fiaschi continentali, riassaporerà il sapore di una semifinale di Champions. «Santa Champions», fino a questo momento, ha accontentato tutti: credenti e pagani, interisti e romanisti.   Il rituale non cambierà neanche il 20 e il 28 aprile, quando l'Inter indosserà i guantoni per darsele di santa ragione (calcisticamente parlando, s'intende) col Barcellona, il peso massimo campione in carica di categoria. A Trigoria, nonostante l'ammirazione per Messi e compagnia cantante, i sei mesi romanisti di Pep Guardiola, l'amicizia di Dani Alves con molti degli esponenti della colonia brasiliana in giallorosso e i rapporti non certo da vecchi e buoni amici fra Mourinho e Ranieri, si tiferà, nuovamente e senza neanche il più piccolo dei dubbi, per l'Inter. Fortissimamente Inter, allora: giocatori, dirigenti e staff tecnico, tutti davanti alla tv con tanto di immaginaria sciarpa nerazzurra al collo. La Roma, dal canto suo, ha anche un altro motivo per continuare a sostenere l'avanzata interista in quella che si chiamava Coppa dei Campioni: la tradizione. I numeri, infatti, dicono che solo in due occasioni su ventiquattro, le volte in cui sono apparse in finale delle squadre italiane, si è verificata la doppietta campionato-coppa dalle grandi orecchie: Inter stagione 64/65, quella di papà Angelo Moratti, del «Mago» Helenio Herrera e della formazione (Sarti, Burgnich, Facchetti..) recitata a memoria da tutti gli appassionati di calcio, e Milan 93/94, in piena era berlusconiana con Fabio Capello in panchina. Tutte le altre si sono dovute accontentare di solo uno dei due trofei (come accadde, ad esempio, alla Juve scudettata nel 1973 e sul tetto d'Europa nel 1996) o di restare con un pugno di mosche in mano (Fiorentina 56/57, Roma 83/84, Sampdoria 91/92, alcuni dei casi più impressi nella memoria). Le cose non cambiano di molto se a questo dato si aggiungono anche le sette occasioni in cui le formazioni italiane si sono dovute arrendere in semifinale: solo il Milan 55/56 e la Juve 77/78 si sono consolate con lo scudetto. Se le tradizioni sono fatte per essere rispettate, Roma e Milan hanno di che sorridere.

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