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Una frattura insanabile con i tifosi

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Oggi,nemmeno il più irriducibile dei lotitiani – io ne conoscevo un paio, in tribuna Tevere – trova più il coraggio di rispondere alla marea montante di parole rabbiose scagliate contro il presidente della Lazio, la sua politica calcisticamente suicida, la battaglia per la moralizzazione che ha demoralizzato chiunque, anche i sostenitori più passionali. Così, conviene essere sinceri. È ormai insanabile la frattura che s'è scavata tra il suo autismo manageriale e il popolo laziale, neppure risarcito domenica scorsa dalla presenza di Maurito Zarate in curva Nord, in mezzo a quella che era la sparuta minoranza e oggi è avanguardia di uno scontento generalizzato. Stanno scendendo in campo, uno a uno, giorno dopo giorno, anche i vip, i laziali da prima pagina, quelli che contano, per invitare Lotito a farsi da parte, anche simbolicamente, anche da subito, per evitare che una stagione cominciata malissimo finisca nel disastro più nero, nell'ecatombe della classifica e nel naufragio della tifoseria. Per citarne uno, Mauro Mazza ha scritto chiaramente che sarebbe meglio per tutti se Lotito cedesse la presidenza all'avvocato Gentile, che è suo uomo di fiducia ma è laziale dal pedigree incontestabile, e che d'ora in poi eviti di presentarsi allo stadio, dichiarando platealmente che è pronto al passo indietro. Il giorno appresso gli hanno dato ragione a migliaia, vip e meno vip, importanti e meno importanti, da Paolo Pietrangeli a Fabrizio Maffei, da Felice Pulici a Guido Paglia, in un tam tam che ha mille voci ma un solo riassunto: io amo la Lazio, Lotito vattene, Lotito lascia. Un gesto di questo tipo, finalmente un gesto di umiltà, un'ammissione di fallimento dopo tanta, troppa e inutile retorica della grandezza, consentirebbe a un ipotetico acquirente della Lazio di farsi avanti, senza esser sicuro di vedersi la porta sbattuta in faccia. L'ha fatto il presidente del Torino, Urbano Cairo, con gran dignità, lo può fare Lotito. Conviene essere chiari. Il petto orgoglioso dei tifosi laziali è come un pallone sfiatato, e neppure la voglia di contestare, il legittimo diritto di essere furenti, si sono affacciati nella mente dei cinquantamila che domenica erano arrivati all'Olimpico con la certezza di trovare undici leoni e non undici lessi a giocarsi la partita della vita. Le notizie che arrivano dal bunker di Norcia, le storie sulle ramanzine presidenziali riversate su giocatori col morale sottoterra, servono solo a incarognire ulteriormente gli animi. Infilare i giocatori nel tunnel del castigo, nel rifugio delle proprie paure, nell'isolamento coatto, quando forse sarebbe il caso di stare in città e respirare aria di riscatto, è un errore, l'ennesimo, inutile, speriamo non faccia ulteriori danni. Dopo una campagna acquisti sbagliata, un allenatore sbagliato, un mercato di riparazione deludente, un campionato disastroso, un cambio di coach arrivato con troppo ritardo, dopo tutto questo strazio, colui che ha sempre recitato in prima persona il ruolo assolutista del tuttofare tragga da solo le conclusioni. Non serve neppure chiedere scusa, è sufficiente un ritiro silenzioso.

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