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I calciatori «congiurano» contro il club

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«Mache sistemi sono?», si interrogano, colpiti dalla spietata durezza del provvedimento. Poveracci! Altro che Abu Graibà A dispetto delle salsicce e dei tartufi, Norcia è notoriamente una sorta di Cayenna da cui è difficile tornare non dico vivi ma sicuramente integri almeno nella mente, con l'insopportabile obbligo di mangiare tutti assieme a tavola, la ritirata senza bacio della buonanotte dopo la partita dell'Inter in tv, e l'allenamento di mattina presto. Qualcuno – orrore! – dice persino che lassù i telefonini non funzionano tanto bene. Pare che procuratori e sindacalisti dell'AIC, ammaestrati dal caso-Pandev (il gentiluomo costretto a scappare fra le braccia di Moratti per sottrarsi alle angherie patite nell'inferno di Formello) stiano già studiando di denunciare Lotito per mobbing e presentare un esposto al Tribunale per i Diritti dell'Uomo, certi di trovare giudici che daranno loro ragione. A tanto, amici laziali, siamo giunti. A un passo dal baratro, dove sono stati soprattutto loro a portare la nostra gloriosa squadra e i suoi 110 anni di storia, i calciatori s'indignano per questo estremo tentativo di ricondurli sul pianeta Terra e metterli di fronte alle loro gravissime responsabilità. Che facce toste! Ma voi li avete visti, come hanno affrontato le ultime partite? Sembrava che l'idea di indossare maglie bagnate di sudore gli facesse talmente schifo da trattenerli da qualsiasi corsa. Il dramma vero, comunque, non sta in questo loro singolare modo di fare gli atleti professionisti. Chi più chi meno, i calciatori sono un po' tutti così (nella Lazio, ad essere obiettivi, non è così Zarate, uno che se non altro ha sempre la voglia matta, e forse è per questo che non lo fanno giocare quasi mai), e costringerli a lavorare con impegno è difficile per tutte le società, italiane e non. Ma, lasciatemelo dire, la differenza fra i nostri e gli altri, quelli che lottano per salvarsi o per vincere qualcosa, è tutta colpa di noi tifosi. Eh, sì. Perché a forza di sparare su Lotito e di addossargli tutti i torti e le nefandezze di questo mondo, noi laziali abbiamo fatto sentire questi pelandroni al riparo da ogni conseguenza della loro neghittosità. «Tanto» – si son grazie alla nostra cecità sicuramente detti – «la gente se la prenderà con lui. E noi, magari, fra poco saremo liberi di trovarci un padrone più simpatico e munifico, proprio come quel furbone di Pandev, lui sì che ci sa fare: in panciolle sulla panchina a San Siro per tre milioni e passa l'anno». Adesso non dico che dovremmo andare tutti in carovana fino a Norcia per dire in faccia a questi cavalieri dell'apocalisse che cosa pensiamo di loro. Però è venuto il momento di chiarire anche a loro che se la Lazio andrà in serie B e, di conseguenza, sparirà dal calcio italiano, sapremo dare a ciascuno la sua giusta parte di colpa. A Lotito, a Ballardini e a Reja, ai preparatori atletici, ai Collina-boys e a tutti gli altri congiurati. Ma soprattutto a loro, i prigionieri di Norcia, quelli che dovrebbero portare l'Aquila nel cuore e invece se la sono messa sotto i tacchetti.

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