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Giancarlo Baccini La doppietta della Ferrari ha fatto bene alla Formula 1, almeno qui in Italia.

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Questoeccellente risultato potrebbe inoltre rappresentare un semplice punto di partenza, specie se, come tutto lascia credere, la Ferrari sarà in grado di ripetersi nelle prossime gare. Sulla popolarità futura della più importante competizione motoristica del mondo continua però a pesare come un macigno la quasi totale assenza di spettacolo. Dunque la Ferrari potrà pure invertire il declinante trend della F1 in Italia ma non è detto che lo stesso accada negli altri Paesi. Il problema non è nuovo ma il fatto che si sia riproposto a dispetto del drastico cambio del formato dei gran premi, con l'agognato ritorno alla formula «via col pieno» al posto dei vituperati rifornimenti in corsa, dimostra che la fonte del male non erano le strategie di gara che trasformavano i piloti in ragionieri ma bensì la natura stessa della competizione. A trasformare in Formula Noia la gloriosa, eroica Formula 1 di un tempo, quella in cui le macchine consentivano agli uomini di affrontarsi corpo a corpo all'insegna dell'ardimento e della tecnica di guida, sono in realtà stati gli ingegneri. Il processo è inziato negli anni '80, quando gli inglesi hanno pensato bene di tramutare le monoposto in aerei rovesciati e pertanto imposto l'abbandono della tradizionale cultura meccanica in favore di quella aerospaziale, tutta basata sui materiali speciali, sulla fluidodinamica, sull'elettronica. Di anno in anno le vetture di F1 sono diventate, sì, più veloci, ma allo stesso tempo costosissime e sofisticate come astronavi, dotate di freni così potenti da permettere anche al guidatore più scarso di rallentare soltanto a pochi metri dalle curve, e soprattutto quasi inguidabili se non c'è la pressione dell'aria a tenerle incollate sull'asfalto. Col risultato che i piloti non riescono più sorpassare chi gli sta davanti: un po' perché non possono avvicinarsi altrimenti la loro macchina non sta più per terra e un po' perché per quanto ritardino la staccata è comunque difficile infilare chi può a sua volta frenare all'ultimo. Complici le nuove piste prive di trabocchetti, i sorpassi sono così praticamente spariti e le corse – al netto di errori o di rotture - si decidono nelle poche centinaia di metri che separano il semaforo del via dalla prima curva. Tutto ciò perché la Formula 1 è diventato il gigantesco e assurdamente costoso giocattolo degli ingegneri, ai quali non frega niente né del pubblico né dei piloti in sangue ed ossa (che, anzi, fosse per loro avrebbero già fatto fuori in favore di qualche sistema di guida dai box stile videogame). A loro interessa soltanto di dimostrare di essere più bravi degli altri ingegneri. E finché i veri padroni della F1 – la Federazione, i costruttori, i proprietari dei team – non rinunceranno ai loro miopi egoismi e si metteranno d'accordo per tornare a correre su vere automobili (oltretutto risparmiando un sacco di soldi), noi appassionati dovremo rassegnarci a sbadigliare davanti alla tv. Con o senza i pit stop.

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