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Finalmente c'è la strada per Bikila

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Lanotizia è una strada. La strada è quella intitolata a Bikila. Sono occorsi cinque anni d'attesa e oltre cinquemila firme di appassionati perché Roma aprisse un varco cittadino alla memoria di uno degli atleti che con la sua affermazione sulla corsa più lunga del programma atletico segnò l'Olimpiade del 1960. Con la decisione assunta dalla Commissione consiliare preposta alla toponomastica capitolina, resa nota ieri a margine della presentazione della sedicesima edizione della Maratona di Roma, Abebe Bikila sarà il primo atleta non italiano intestatario di una via della città. Cinquanta anni dopo l'incancellabile apparizione, a piedi nudi, sul traguardo dell'Arco di Costantino, il nome della guardia del Negus affiancherà in tal modo Fausto Coppi e Tazio Nuvolari, Primo Carnera e i titolari della squadra del Grande Torino, Adolfo Consolini, Giulio Gaudini, Nedo Nadi e altre celebrità dello sport italiano, facendo inoltre concorrenza ad un suo lontano collega macinatore di lunghe distanze, l'immortale Dorando Pietri. Il maratoneta carpigiano, protagonista del drammatico epilogo sul filo d'arrivo della maratona dei Giochi di Londra del 1908, esaltato da Arthur Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes, e premiato personalmente dalla regina Alessandra all'indomani della corsa che avrebbe consegnato il suo nome all'eternità, è infatti l'unico atleta al mondo cui siano eccezionalmente intitolate, oltre che in numerose località del territorio italiano, Roma compresa, due vie nelle maggiori metropoli mondiali, l'europea Londra e la statunitense New York. Ieri mattina, a raccogliere in Campidoglio la notizia dell'intestazione della strada romana ad Abebe Bikila, era presente Yetnayaet Abebe, il secondo dei tre figli viventi del grande campione tra la sorella Tsige e il più giovane Tafari, portatore di una mostra sul padre che dopo la corsa del 21 marzo andrebbe a costituire uno dei momenti più suggestivi delle celebrazioni previste per il Cinquantenario olimpico. Il pettorale più celebre nella storia dello sport, il numero 11 agganciato al petto del maratoneta etiope nella gara del '60, è stato frattanto simbolicamente consegnato dagli organizzatori al sindaco Alemanno, perché venga custodito in una teca capitolina e ritirato da future assegnazioni.

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