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Il sogno sfumato di sor Claudio

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Hotifato Roma non per quel principio (spesso ipocrita) secondo il quale quando un club italiano gioca nel Mondo è come se giocasse l'Italia. Ho tifato Roma sperando che il sogno di Claudio Ranieri si avverasse: voleva riportare in casa giallorossa, dopo cinquant'anni, la «nonna» della Coppa Uefa/Europa League - ovvero la Coppa delle Fiere - vinta nella stagione '60-'61 dalla Mitica presieduta da Anacleto Gianni di Amatrice, capitanata da Giacomo Losi «Core de Roma»; e guidata da Luis Carniglia, il mio grande amico Gigio che se n'è andato otto anni fa. Contavo su una straordinaria combinazione del destino perché Ranieri era stato, in quarant'anni, il secondo allenatore «rimosso» dalla Juventus con una non più insolita caduta di stile. Il primo, proprio Carniglia che, nel '69, dopo aver perso tre partite su sei all'avvio del campionato, fu spanchinato con una trovata che lo ferì ma della quale ridemmo spesso: afflitto da un attacco influenzale, telefonò da casa in sede per avvertire che avrebbe saltato l'allenamento, e dalla sede partì poche ore dopo un comunicato ambiguo nel testo ma preciso nella sostanza: si diceva, insomma, che Carniglia malato sarebbe stato sostituito da tal Cattozzo, se la memoria non m'inganna scrittore di libri gialli e in realtà subito sostituito da Ercole Rabitti. Eravamo diventati amici a Bologna, Carniglia e io, in anni divertenti e polemici insieme, dopo l'abbandono di Fuffo Bernardini e il licenziamento di Manlio Scopigno: ripresosi dallo choc, don Luis mi invitò a Torino nella casa di Corso Sebastopoli vicina allo stadio Comunale. Finì con l'ennesimo racconto delle sue glorie che riguardava le due Coppe dei Campioni vinte con il Real Madrid di Di Stefano, Puskas e Gento. E la Coppa delle Fiere vinta con la Roma che abbandonò a malincuore proprio mentre la squadra faceva le prove per diventare grande e invece diventò Rometta senza soldi (e con la colletta al Sistina). Era, quella, la Roma di capitan Losi e Cudicini il Ragno Nero, dello sciupafemmine Francisco Ramon Lojacono e del figo Alberto Orlando corteggiato da artisti famosi a via Margutta, dello strabomber Antonio Valentin Angelillo silurato da Helenio Herrera nonostante i 33 gol segnati nell'Inter, record mai eguagliato, e di Piedone Manfredini che presto sarebbe diventato cannoniere del torneo. Con loro, già divi, Pestrin, Fontana, Carpanesi, Menichelli e Corsini. Nella foto che sull'Albo Panini li ricorda c'è scritto «Roma-Inter» e invece in quell'Olimpico pieno di folla e di sole l'undici ottobre del '61 posarono i vincitori della Coppa, 2-0 al Birmingham, gloria immediata e decenni d'oblio. Ora si capisce meglio perché Ranieri voleva quel trofeo: per ricordare i favolosi antichi eroi di quella Magica che ho conosciuto e ammirato. Ma ricordo al sor Claudio che i cinquant'anni per bissare una Coppa verranno nel 2011. Ci riprovi.

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