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Cari laziali non ci resta che pregare

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Unlord Byron del pallone. Un mazziniano che, scacciato dal Gianicolo e trincerato in piazza della Libertà, afferma che «sono colpevole di voler troppo bene a questa società». Visto in altra prospettiva, l'incontrollabile monologo offerto da Claudio Lotito ai giornalisti si può riassumere così: finora ho gestito la Lazio nel migliore dei modi, scordatevi che metto in vendita la società, non ho nulla di cui pentirmi, non ho dubbi, non ho compiuto errori, se qualcuno non capisce sono fatti suoi. Se poi quel «qualcuno» sono la quasi totalità degli addetti ai lavori e la stragrande maggioranza del pubblico laziale, quello che ha consegnato alla Lazio l'unico secondo posto di quest'anno, quello del numero degli abbonati, è un problema che pare non rientrare nemmeno nei pensieri laterali del Presidente. L'ultima è la campagna acquisti, digerita male persino dal sempre taciturno Ballardini. El Cid Lotitor spiega che, dopo aver rivoluzionato il mondo del calcio col «metodo Lotito», vuole cambiare anche la società civile facendo giocare assieme in biancoceleste un israeliano e un palestinese, megli del Rocky 4 che «se io posso cambiare, tutto il mondo può cambiare». Può cambiare anche Cristian Ledesma, l'ultima pietra dello scandalo, a cui Lotito affida benevolmente il sigillo del figliol prodigo. Intanto, però, l'allenatore non l'ha convocato, e Lotito pare non aver modificato di una virgola i parametri dell'offerta di rinnovo del contratto. E il tifoso laziale osserva, rimugina, mastica amaro. Alla fine, prima di piangere, non ci resta che pregare (e sperare in quel «fattore c» che ogni tanto favorisce El Cid Lotitor).

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