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Sciando dall'Africa al Canada

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FabianaPellegrino Quelli che «calzano» gli sci da quando avevano tre anni e quelli che da bambini non sapevano neppure cosa fossero gli sci. Loro stanno accanto ai «cliché delle nevi», perché ci sono i fuoriclasse e gli invicibili e poi, magari con un po' di ritardo, arriva il resto del mondo. E anche quest'anno nell'elenco degli invitati al banchetto di Vancouver ci sono i soliti padroni i casa, quelli che sono sempre in lista (onore al merito), ma anche chi quell'ingresso se lo è sudato. Ci sono il leopardo, il surfista e le treccine rasta e i Giochi diventano democratici. Francesi, austriaci, italiani che si mischiano ad africani, iraniani, caraibici, tutti sugli sci, compresi quelli a cui la neve, per nascita, non è stata concessa. C'è la storia di Kwame Nkrumah-Acheampong, nato a Glasgow, in Scozia, ma cresciuto in Ghana. È lui il «leopardo delle nevi», lui quello a cui Torino 2006 ha chiuso la porta in faccia perché non all'altezza degli standard. Un piccolo che ha fatto tutto da sé, dagli allenamenti agli acquisti, anche se ai «grandi» nulla era bastato finora. Eppure ai sogni non si comanda e Kwame, dopo cinque anni di allenamenti in Val di Fiemme gareggerà nello slalom gigante e nello slalom speciale il 21 e il 27 febbraio. Nello sci di fondo ci sarà anche il peruviano Roberto Carcelen, l'indiano Tashi Lundup e per lo snowboard Korath Wright rappresenterà un Paese tutt'altro che freddo, le Bahamas. Racconti di chi non ha le spalle coperte da una tradizione, ma tutti frammenti di uomini, prima che atleti, intenzionati a riscrivere un pezzo di quella storia a cui non appartengono, o almeno non di diritto. Un'impresa iniziata nel lontano 1928 dal Messico a Saint Moritz. Dal deserto una squadra di bob sfidò i campioni delle Olimpiadi invernali, nessuna medaglia, ma il coraggio in tasca. Poi le Filippine nel '72 a Sapporo, in Giappone e nel 1988 la storica impresa del bob giamaicano di Devon Harris, avventura d'ispirazione anche cinematografica per la Disney. A Nagano nel '98 il kenyano Philip Boit nella 10 km è stato atteso venti minuti dalla medaglia d'oro che non voleva celebrare la vittoria senza l'ultimo arrivato. Quelli che sulla neve non ci sono nati, ma che se la sono andata a cercare, perché alle Olimpiadi si possono confondere colori e lingue, perché lo sport non ha cittadinanza.

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