L'intolleranza religiosa del ct egiziano
Lasua convinzione profonda è che oltre alla bravura calcistica, i nazionali egiziani, per essere inclusi nella formazione, devono professare anche «la devozione assoluta» per l'Islam. «Io convoco - ha dichiarato seriamente El Me'alem, cioè il Gran Capo, come lo chiamano i giornalisti del suo Paese - solo chi ha un buon rapporto con Dio» e, a riprova della sua coerenza ha insegnato ai ragazzi della squadra ad inginocchiarsi in cerchio, ogni volta che segnano un gol, per ringraziare Allah. La devozione religiosa è piuttosto diffusa, in realtà, dovunque tra i calciatori, anche tra i più famosi e ricchi, come Paul Victor Barreto, il giovane brasiliano del Bari che nell'anticipo di sabato scorso ha segnato due «rigori» al portiere dell'Inter, costringendo la capolista ad un altro dei suoi prodigiosi recuperi. Assicura il collega Antonio Guido che «la fede è il pane quotidiano» di Barreto, che ha l'abitudine di leggere ogni giorno un passo della Bibbia per ispirarsi al verbo divino. E tra i suoi colleghi non è certo il solo a professare così assiduamente la sua vicinanza al Signore. Ma naturalmente c'è una bella differenza tra chi prega assiduamente e chi obbliga gli altri a pregare, esercitando a sproposito la sua autorità. L'allenatore della Nazionale egiziana la esercita spietatamente, come sanno due dei suoi migliori giocatori: Mohamed Zidan, militante del Borussia di Dortmund e Mido, un attaccante del Middlesbrough che è passato anche per il nostro campionato. Zidan, che era in crisi, sta molto meglio da quando il tecnico gli ha suggerito di recitare le sue preghiere tutti i giorni, mentre Mido è uno scavezzacollo che ama divertirsi ed è attaccato alla bottiglia, tanto che il Gran Capo, dopo aver tentato invano di richiamarlo alla ragione, ha finito per rispedirlo a casa. Scherzi a parte, dopo l'aggressione alla squadra del Togo questa prova di intolleranza accettata nell'ambito della rappresentativa di uno dei paesi più grandi e gloriosi del continente africano non solo suscita qualche perplessità sull'andamento dei «mondiali» della prossima estate, ma richiama la nostra attenzione sui pericoli di un'intolleranza religiosa che è anche all'origine del terrorismo talebano. Personalmente, sono molto vicino alle posizioni della sinistra liberale europea ma non ho mai condiviso l'indifferenza così diffusa nell'Occidente democratico nei confronti del fanatismo musulmano nelle sue forme più aggressive, indifferenza che troppo spesso nasconde un sentimento anti-americano, spinto fino al punto di indossare ai servizi segreti di Washington la responsabilità dell'atroce attentato dell'11 settembre che sconvolse New York e fece tremila vittime nel giro di una sola notte. L'intolleranza religiosa non si distingue in nulla da quella politica. La speranza è che né l'una né l'altra turbino, come è avvenuto qualche volta nelle Olimpiadi, la grande novità dei «mondiali» africani.