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Lo stadio del futuro che rimase un sogno

La foto del plastico che rappresenta lo stadio che sarebbe dovuto sorgere all'Acqua Acetosa

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Erano da poco terminati i Giochi di Los Angeles quando Bruno Zauli (futuro segretario del CONI) affrontò il problema, non più differibile, della mancanza di un grande stadio per ospitare le Olimpiadi, esprimendo considerazioni interessanti, direi quasi provocatorie: "Orgoglioso di una virtù e di una potenza che hanno scossa l'attenzione del mondo, lo Sport Italiano si è cimentato in due imprese audacissime. I nostri Dirigenti hanno chiesto nei supremi congressi internazionali l'organizzazione del Campionato Calcistico Mondiale e della XII Olimpiade. Ma la realtà di oggi, durissima, è questa: Campionati del Mondo e Olimpiadi, in Italia, sono praticamente impossibili. Non c'è uno stadio dove disputarli» (Il Littoriale, 13 ottobre 1932). Le considerazioni di Zauli furono immediatamente recepite dal potente sottosegretario agli Interni, Leandro Arpinati (1892-1945), cui già si doveva il primo stadio del regime: il Littoriale di Bologna, oggi Renato Dall'Ara. Arpinati, che era anche presidente del CONI e della FIGC, nel gennaio 1933 annunciò l'imminente costruzione nella capitale di un impianto con 150.000 posti a sedere, ove disputare non solo l'Olimpiade del 1940, ma anche alcune gare del campionato mondiale di calcio del 1934. «Essendo parecchie le imprese capaci di condurre a termine la poderosa opera in 300 giorni», la solenne inaugurazione si sarebbe svolta nel Natale di Roma dell'Anno XII, ossia il 21 aprile 1934. Esaminiamo le principali caratteristiche progettuali dell'impianto. Di forma circolare (come lo Stadio del Centenario a Montevideo), aveva un diametro di 370 metri, ossia il doppio dell'asse maggiore del Colosseo, e il coronamento raggiungeva un'altezza di 54 metri dal piano di campagna. Attraverso quattro rampe simmetriche - sfalsate di 45 gradi rispetto agli assi del campo di calcio - le auto salivano agli accessi carrabili, immettendosi in una strada perimetrale larga 14 metri alla base di un gigantesco porticato. I pedoni, invece, entravano da 40 ingressi al livello sottostante. Internamente, il prolungamento ideale degli assi delle rampe delimitava quattro settori (uguali tra loro quelli frontistanti), la cui sommità era coronata da altri porticati, che ricordavano il maenianum summum del Colosseo. Le gradinate avevano uno sviluppo di 70.000 metri lineari e la distanza massima dal bordo del campo all'ultimo gradino era di 138 metri. Per la realizzazione del grandioso stadio in cemento armato dell'ingegnere piacentino Giulio Ulisse Arata (1881-1962) si scelse la vasta area dell'Acqua Acetosa, nell'ansa del Tevere alle pendici di Monte Antenne, più o meno dove oggi sorge il Centro Sportivo "Giulio Onesti". Su incarico di Arpinati, primo podestà di Bologna, nel capoluogo emiliano Arata aveva collaborato con l'ingegner Umberto Costanzini alla costruzione dello stadio, progettando in particolare la torre di Maratona, alla cui base fu collocata la statua equestre in bronzo del duce. Delle novità tecniche che si stavano affermando in quegli anni l'impianto romano teneva poco conto, adottando solo parzialmente le tribune a "crescent", ossia a mezzaluna (secondo gli studi e le applicazioni pratiche dell'ingegnere americano Gavin Hadden), ed escludendo le tribune sovrapposte a sbalzo (come nel progetto Nervi-Valle del 1932 per uno Stadio Massimo a Roma). Lo stadio di Arata disponeva di un campo di calcio di m. 70x115, che qualcuno propose di allargare a 80x120, e di una pista podistica di 500 metri a 6 corsie. Sotto le gradinate trovavano posto - tra l'altro - una sala per il pugilato, la lotta e la scherma, tanto spaziosa da contenere oltre 4000 spettatori, una piscina, una palestra per la ginnastica, un campo per la pallacanestro. Si pensava anche, in un secondo tempo, di realizzare una torre di Maratona alta 100 metri e di rivestire con travertino la facciata e altre parti ornamentali. Arpinati fissò al 1° maggio l'inizio dei lavori, da completare in dieci mesi utilizzando 1500 operai. Proprio il 1° maggio 1933, tuttavia, a causa di un duro contrasto con il segretario del PNF, Achille Starace, e con lo stesso Mussolini, Arpinati rassegnò le dimissioni da ogni incarico e poco dopo venne condannato al confino per condotta antifascista. Anche l'attività di Arata subì una brusca interruzione e del suo progetto nessuno parlò più. Fu, quindi, una sorpresa per il pubblico ammirarne il plastico alla I Mostra Nazionale d'Arte Sportiva, inaugurata dal re al Palazzo delle Esposizioni di Roma il 2 febbraio 1936. Poi, ancora silenzio. Le partite romane del mondiale di calcio 1934 si disputarono nel ristrutturato Stadio Nazionale in via Flaminia e per ospitare l'Olimpiade del 1940 si mise mano ai lavori di un nuovo, colossale impianto al Foro Italico, in sostituzione del bucolico Stadio dei Cipressi. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

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