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Ciro e Leonardo sorte diversa dei «debuttanti»

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Ingenere, tra noi cronisti, anche quelli che per cortesia o per prudenza non manifestano stupore per la scelta di due tecnici privi di ogni esperienza per un incarico così specifico, pensarono che Blànc e Galliani stavano sbagliando, soprattutto in considerazione dell'avversario da battere, quell'Inter che da quattro anni sta dominando francamente il torneo. I fatti stanno dimostrando, però, che se Ciro Ferrara - onusto di scudetti e di maglie azzurre, ma non di panchine illustri - si sta dibattendo in una crisi che ormai, magari anche per colpa di una campagna acquisti sbagliata, appare insanabile, Leonardo ancor più sconosciuto come «coach» di così alto livello, si è ormai affermato come un personaggio di imprevisto e incontestabile successo. Chiamato a pilotare un Milan in palese fase di smobilitazione finanziaria (non importa se per ragioni intrinseche o politiche), e per giunta mediamente invecchiato in elementi-chiave come Ronaldinho e Pirlo, il giovane brasiliano ha compiuto un piccolo miracolo: non solo ha ringiovanito misteriosamente i suoi veterani e colto tanti successi (il più recente proprio sul povero Ciro) da proporsi come il solo antagonista serio della capolista nerazzurra, ma sta mettendo in pratica una originale filosofia del comando l'allegria. L'ha spiegato pochi giorni fa: «Da sempre preferisco la strategia degli abbracci a quella del bastone e della carota. Amore e abbracci danno più risultati». E ha aggiunto, inaspettatamente «D'altronde Gandhi ha liberato l'India senza alzare la voce». Magari non è stato proprio così, alla lettera, ma il richiamo alla ragionevolezza e al garbo da parte di Leonardo si propone come un rimedio prezioso per tante storture del calcio e più in generale del mondo in cui viviamo. La caccia ai giocatori del Torino mentre fanno festa ad un loro compagno e l'aggressione ai nazionali del Togo nella Coppa Continentale africana sono, ovviamente, episodi diversi ma hanno in comune questa predilezione dell'intolleranza, dell'odio, del terrore, che del resto alimenta il razzismo di troppi bianchi e il fanatismo di troppi musulmani. Per tornare al calcio, comunque, bisogna raccomandare alle federazioni nazionali e soprattutto alla FIFA il massimo rigore sia nei confronti degli episodi di sordido razzismo e sia, soprattutto, a proposito di competizioni come la Coppa Continentale e il «Mondiale» di quest'estate. Gandhi era amico di Mandela, e l'assegnazione del campionato iridato rappresenta un solenne riconoscimento per il Sud Africa in particolare e per il Terzo Mondo in generale, un segnale che già indiani, cinesi e brasiliani hanno salutato con entusiasmo. Ma proprio per questo, il modello deve essere Mandela (o Gandhi), non Bin Laden. Si potrà perdonare agli amici sud africani, gloriosi per la lotta contro l'aparthed, qualche sfasatura organizzativa e turistica, ma la ricetta giusta per il successo dei «mondiali» è quella di Leonardo: di violenza siamo sazi fino al disgusto.

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