Luca Manca grave dopo un incidente nella sesta tappa della Parigi Dakar
Ieri notte Luca Manca stava ancora lottando tra la vita e la morte in un ospedale di Santiago, in Cile. Il motociclista italiano è stato vittima di una bruttissima caduta nel corso della sesta tappa della Dakar, che attraverso il deserto di Atacama portava da Antofagasta a Iquique. Il 29enne di Sassari ha perso il controllo della sua Ktm dopo pochi chilometri dalla partenza. Cadendo ha battuto violentemente la testa e ha riportato una commozione cerebrale, una frattura al naso e una contusione polmonare. Le sue condizioni sono apparse subito gravissime. Manca è stato soccorso immediatamente dagli altri piloti, mentre dopo pochi minuti è arrivata l'eliambulanza dell'organizzazione che ha trasportato il centauro italiano all'Hospital del Cobre della cittadina di Calema. Lì i medici hanno stabilizzato le sue condizioni e poi hanno autorizzato il trasferimento a Santiago. «Ciò che ci preoccupa di più è la commozione cerebrale - ha detto il responsabile medico di Calema Miguel Cortes - perché sta a sua volta provocando una ipertensione endocranica che mette a rischio le sue funzioni vitali». I familiari del motociclista stanno seguendo con apprensione l'evolversi degli eventi e già oggi potrebbero raggiungere Luca in Cile. Nel frattempo, «The show must go on», la corsa è proseguita e così sarà anche oggi fino al 16 gennaio, quando la carovana dei superstiti, è il caso di dirlo, ritornerà a Buenos Aires. Eppure l'inizio di questa edizione del rally meriterebbe più di una riflessione da parte degli organizzatori che, per il secondo anno consecutivo, avevano deciso di spostarsi dall'Africa al Sudamerica proprio per diminuire i rischi che, in 31 anni, hanno causato la morte di 55 persone tra piloti, spettatori e addetti ai lavori. Appena sabato scorso, nel corso della prima tappa cronometrata, la Dakar aveva già pianto una vittima. Il tedesco Mirco Schultis aveva perso il controllo della sua macchina ed era finito fuori strada in curva, travolgendo sei spettatori. Tra questi la 28enne Natalia Sonia Gallardo, morta poche ore dopo. In quel tratto la presenza di pubblico era vietata, ma qualcuno non ha vigilato abbastanza, perché, in una corsa al limite come la Dakar, tra deserti, montagne, dirupi e rocce, è difficile controllare tutto anche per l'esercito delle 5.000 persone che si occupano di sicurezza. Non basta dire - come ha fatto il procuratore argentino di Rio Cuarto Walter Guzman parlando dell'incidente di Schultis - che «quanto successo può ritenersi tipico in questo tipo di rally». Perché, in realtà, la storia della Dakar è contrassegnata anche da tragedie che con la gara non hanno niente a che fare: dalla morte del fondatore Thierry Sabine, nel 1986 a bordo di un elicottero precipitato in Niger, a quella del motociclista Jean-Pierre Leduc, colpito in Mali da un proiettile vagante nel 1997. Per non parlare dell'edizione 2008, annullata per il rischio terrorismo. La verità è che, per chi non ha il sapore della sfida nel sangue la Dakar resterà per sempre un mistero insondabile. Perché rischiare la pelle per sport? Semplicemente perché, per gli amanti dei motori, in corse del genere l'adrenalina sale ai massimi livelli. O forse perché vince sempre il paradosso della natura umana: più succedono tragedie, più ci si convince che, in fondo, «a me non potrebbe mai capitare». «Quello che distingue un professionista da un dilettante è la coscienza del rischio. Il rischio è sempre alto, ma quando lo si sa ci si comporta di conseguenza». Questo diceva Luca Manca pochi giorni prima della partenza da Buenos Aires. Prima dell'incidente era nono in classifica generale. Ma ora tutto ciò che conta è che l'Italia non debba piangere, dopo Giampaolo Marinoni (1986) e Fabrizio Meoni (2005), la sua terza vittima nella «corsa maledetta».