Ma il vero sconfitto è lo sport
Ecosì il vecchio Flavio ha vinto la sua battaglia contro «Mad Max» Mosley. Sebbene la sentenza del tribunale parigino tutto faccia tranne che restituirgli l'onore (il giudice si è limitato a definirlo non imputabile, e non ha detto che non si è macchiato del gravissimo reato sportivo accertato dalla Fia: l'alterazione del risultato del Gp di Singapore 2008), Briatore ha recuperato l'unica cosa che gli stava veramente a cuore, cioè la possibilità di continuare a trafficare in nome e per conto di piloti, scuderie, sponsor e affaristi di varia estrazione. Probabilmente non lo vedremo più con le cuffie in testa, a guidare le operazioni dal muretto della pit lane: sarei davvero sorpreso se al mondo ci fosse ancora qualcuno disposto ad affidare le redini di un team a un uomo che ha scientemente spinto un suo pilota a rischiare la pelle pur di far vincere l'altro. Ma a lui di essere bruciato agli occhi di chi ancora crede nei valori basilari dello sport non frega probabilmente nulla: si consolerà ampiamente leggendo i peana che gli dedicheranno i suoi molti amici e soprattutto riprendendo a rimpinguare il proprio conto in banca come se non fosse successo niente. Il vero problema, semmai, è un altro. Perché a uscire sconfitto da questa vicenda non è soltanto Mosley, che oltretutto una bella bastonata se la meritava a prescindere dal modo cieco e penoso in cui ha gestito il processo al suo nemico personale Briatore. A uscirne sconfitto è anche lo sport, come ormai accade sempre più spesso quando gli sportivi vanno a chiedere «giustizia» ai tribunali ordinari rompendo quel patto d'onore che dovrebbe obbligarli ad accettare, sempre e comunque, le regole che l'organizzazione privata di cui hanno liberamente scelto di far parte si è liberamente data. Definendo Briatore quale «terzo» rispetto alla Fia e ai «licenziati» che essa può sanzionare, la sentenza di ieri ha infatti inferto un durissimo colpo all'autorità sportiva, delegittimandola e sottraendo al dovere di rispettarne le regole tutto il multiforme mondo delle corse, eccezion fatta per i piloti e, genericamente, per le scuderie, cioè chi una «licenza» deve avercela per forza. E i team manager? E gli ingegneri e i meccanici, che magari fanno pure gli spioni? Da oggi in poi tutti liberi di truccare corse o, come ci ha insegnato la spy-story Ferrari-McLaren, rubare segreti industriali e venderli alla concorrenza. A Jean Todt, illuminato successore di Mosley, il compito di restituire alla Fia la capacità di sostituire il diritto alla legge della giungla imposta da Briatore.