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Mezzo secolo di sport e storia

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Accadevacinquanta anni fa. Olimpia era Roma, gli occhi quelli della RAI. Unica per i tempi, la copertura televisiva collegò dal 25 agosto all'11 settembre 21 Paesi, 14 dell'Eurovisione, 4 dell'est europeo, più Stati Uniti, Canada e Giappone. La radio, con 75 organismi esteri coinvolti, fece il resto. L'impegno radiotelevisivo fu tra gli esiti più visibili di un evento che nel 1960 raccolse internazionalmente unanimità di consensi, favorendo la costruzione di un credito che a distanza di mezzo secolo non cessa di individuare nella XVII edizione dei Giochi estivi una delle migliori mai organizzate e, con un veniale tributo alla retorica, l'ultima dal volto umano. Con quell'evento veniva così concretizzata dopo 52 anni l'aspirazione di Pierre de Coubertin, restauratore delle moderne Olimpiadi, che nel 1905 si era inutilmente impegnato, e con lui lungimiranti dirigenti sportivi italiani, in testa Eugenio Brunetta d'Usseaux e Fortunato Ballerini, nell'alimentare la candidatura capitolina per l'edizione del 1908. Alla base del successo del 1960, molti fattori, primo d'essi la qualità tecnica dei risultati. Ma ne furono origine l'impegno organizzativo, che vide allineati il CONI, all'epoca retto da Giulio Onesti e da Bruno Zauli, il Campidoglio, che al momento della presentazione della candidatura capitolina al Comitato olimpico internazionale aveva avuto nel sindaco Rebecchini un convinto sostenitore, e il Governo, costantemente rappresentato dalla figura rassicurante di Giulio Andreotti, al quale si ritenne utile affidare la presidenza del Comitato organizzatore. I nuovi impianti - Olimpico, Flaminio, i due Palazzi dello sport, le piscine del Foro Italico e dell'Eur, il Velodromo, il Villaggio olimpico, aperto a 1348 appartamenti - esaltati per funzionalità ed estetica, risposero perfettamente alla complessità organizzativa. Geniale si rivelò inoltre la decisione di utilizzare come luogo d'agonismo strutture di innegabile fascino come il Palazzo dei Congressi dell'EUR, che ospitò la scherma, siti archeologici del livello della Basilica di Massenzio e delle Terme di Caracalla per la lotta e la ginnastica, il basolato dell'Appia antica e l'Arco di Costantino per la tratta terminale e per l'arrivo della maratona. La città, con le sue bellezze, l'ariosità del clima, l'ospitalità diffusa, con la viabilità accresciuta dai quindici chilometri della via Olimpica inaugurata alla vigilia delle gare, completò il quadro. All'Olimpiade romana presero parte 84 Nazioni. Le due Germanie gareggiarono sotto unica bandiera. La Cina popolare, indispettita dalla presenza di Taiwan, disertò. L'URSS, con 101 medaglie, prevalse in classifica sugli Stati Uniti, fermi a 71. L'Italia, con 280 atleti, ne vinse 36, rappresentata nel giuramento dall'olimpionico Adolfo Consolini e da Edoardo Mangiarotti come portabandiera. I Giochi di Roma furono di elevato contenuto. L'atletica esaltò la bellezza della corsa di Wilma Rudolph, la sorprendente affermazione di Livio Berruti, l'arrivo sul filo dei 400 metri di Otis Davis e Carl Kaufmann, l'incedere imperiale di Herb Elliott sui 1500, la suggestione del traguardo notturno sotto l'Arco di Costantino di Abebe Bikila, la fatica massacrante di Rafer Johnson e Yang Vhuan Kwang, nel decathlon terminato in un abbraccio sotto i riflettori dell'Olimpico. Il nuoto, seconda regina dei Giochi, insieme con il contestatissimo arrivo tra lo statunitense Lance Larson e l'australiano John Devitt nei 100 metri più discussi nella storia della specialità, confermò il valore degli australiani Dawn Fraser, Murray Rose e John Konrads. Il pugilato esaltò l'italiano d'Isola d'Istria Nino Benvenuti, aprendo profeticamente l'avvenire a un diciottenne di Louisville, Cassius Clay. La ginnastica elevò sul trono tre fra i più grandi di tutti i tempi, Larisa Latynina e Boris Shakhlin, sovietici, e Takashi Ono giapponese. Il ciclismo, la potenza esplosiva di Sante Gaiardoni nelle prove di velocità. La scherma, i successi degli azzurri. L'equitazione, l'infallibile binomio Piero-Raimondo D'Inzeo. La pallanuoto, la seconda affermazione azzurra dopo i Giochi del 1948. La festa fu dunque anche italiana. La qual cosa contribuì a fare della chiusura olimpica, la sera dell'11 settembre, una celebrazione collettiva, con lo stadio romano illuminato da un immenso falò e dal passaggio della fiaccola tra Roma e Tokyo.

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