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Dakar, ritorna l'avventura

Parigi Dakar

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La Dakar di una volta, quella che da Parigi arrivava alla capitale del Senegal dopo aver attraversato Francia e gran parte dei Paesi del Nord Africa, ormai non c'è più. Da venerdì, per il secondo anno consecutivo, il rally più famoso e rischioso del mondo si svolgerà in Sud America, con partenza e arrivo - il 17 gennaio - a Buenos Aires, dopo aver affrontato un percorso da brividi: oltre 9.000 chilometri divisi in 16 tappe tra Argentina e Cile. Ma, seppur con un'ambientazione diversa da quella abituale, le emozioni che la corsa regalerà promettono di essere degne della migliore tradizione. A concentrare l'attenzione sono soprattutto le cinque durissime tappe nel deserto di Atacama: «È molto più arido di quello africano, non c'è alcuna vegetazione», ha spiegato con orgoglio Etienne Lavigne, direttore della Amaury Sport Organization che allestisce l'evento. Un percorso particolarmente selettivo che ha ancora una volta attirato una foltissima schiera di concorrenti. A prendere il via dalla capitale argentina saranno ben 140 auto, 53 camion e 190 tra moto e quad (moto dotate di quattro grosse ruote). Tra le auto ci sarà ancora una volta la Volkswagen, che ripresenta al via il sudafricano Giniel De Villiers, vincitore nel 2009. La casa tedesca è l'unico grande marchio automobilistico che ancora prende parte a un evento considerato «maledetto». Novità invece tra le moto, perché la KTM, dominatrice delle ultime otto edizioni, ha deciso di disertare la Dakar per la scelta dell'organizzazione di escludere le due ruote di cilindrata superiore ai 450. Circostanza che ha invece fatto felice l'Aprilia, presente al via con ben 4 bicilindriche RXV. Ma questa polemica è la meno infervorata di quelle che, annualmente, accompagnano la partenza del rally. È di ieri la notizia di un gruppo di ambientalisti cileni che vorrebbe bloccare l'avvio della corsa per i danni che la stessa arrecherebbe al patrimonio archeologico. Niente, in ogni caso, rispetto alle perplessità causate dai rischi che corrono piloti e spettatori. Dalla prima edizione del 1979 a oggi sono ben 54 i morti per incidenti legati in qualche modo alla Dakar. Una contabilità che potrebbe essere anche lacunosa perché l'organizzazione è stata accusata di aver trascurato diversi decessi tra il pubblico. Anche l'Italia piange una sua vittima: l'11 gennaio del 2005 Fabrizio Meoni - vincitore tra le moto nel 2001 e nel 2002 - cade durante l'undicesima tappa da Atar a Kiffa e perde la vita per un arresto cardiaco. Ma non tutte le tragedie sono legate strettamente alla gara. Nel 1986 l'inventore della Dakar Thierry Sabine è a bordo dell'elicottero che si schianta in Niger, mentre nel '91, in Mali, una pallottola vagante raggiunge e uccide Charles Cabannes, pilota di un camion dell'assistenza. Nel 2008, invece, l'edizione viene cancellata per il rischio di attentati terroristici lungo il percorso. Minaccia che poi si rivelerà più che fondata. Anche per questo l'organizzazione ha deciso di spostarsi nel più tranquillo Sud America. E per assicurarsi l'evento hanno fatto tanto anche i governi di Cile e Argentina. Quest'ultimo, ad esempio, ha stanziato sei milioni di dollari da destinare in gran parte alla sicurezza. Ma se non ci fossero i rischi sotto forma di strapiombi, rocce, ripidi pendii e dune, c'è da scommettere che la «corsa maledetta» perderebbe gran parte del suo fascino.

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