Il calcio resta affare di famiglia
Moratti,Berlusconi, i Sensi, De Laurentiis, i Della Valle, i Mattarese,: di solito si riflette poco sul rapporto che lega le fortune di club di calcio al nome di una grande famiglia. Perché si parla di acquisti, di conduzione tecnica, delle idee o delle riflessioni dell'allenatore e degli spropositi dell'abitro, e si bada poco a chi firma gli asssegni o conduce le trattative. Ma, un tempo, non era così e si può tranquillamente ricordare che - almeno in Italia - sono state iniziative di uomini d'affari o semplicemente di mecenati ad alimentare lunghi o lunghissimi periodi di imprese dei grandi club che hanno creato intorno a quei colori folle di sostenitori sempre più numerosi ed entusiasti. Una vera e propria dinastia, per esempio, fu ed è rimasta fino a pochi anni fa a Torino la «royal family» degli Agnelli, che per un certo periodo trovò, nella stessa città, la concorrenza breve ma fulminante del club granata, legata a due grandi nomi: quello del presidente Ferruccio Novo e del suo consulente - tra giornalismo e mercato acquisti - del grande Vittorio Pozzo, due volte campione del mondo e una volta vincitore del torneo olimpico di calcio. La crudeltà del destino volle che la splendida sequenza delle imprese del Toro fosse interrotta per sempre dalla tragedia di Superga e, da allora, per moltissimi anni ancora, la Juve della famiglia Fiat è rimasta sola in città a sventolare la bandiera bianconera della Vecchia Signora. E se il grande Torino si era affidato sul campo ad Egri Erbstein e a Copernico, la famiglia Fiat si è affidata per un lungo periodo alla guida inimitabile di Giampiero Boniperti, già grande come attaccante del clan e della Nazionale. Ahimé, anche le gloriose dinastie e i loro fedelissimi servitori scompaiano. In singolare coincidenza con la grande crisi che stava per investire l'industria automobilistica, negli ultimi anni una serie di eventi contrari e al tempo stesso la scomparsa dei due fratelli Agnelli si sono rovesciati sulla Grande Famiglia. Prima c'è stata una tempesta negli spogliatoi per voci maligne su stimolanti ed integratori utilizzati su alcuni giocatori, poi è scoppiata la tempesta della cosiddetta Calciopoli, infine le beghe sull'eredità dell'Avvocato ne hanno turbato, senza sua colpa, perfino la memoria. Intanto, la squadra risorgeva dalle ceneri della retrocessione tornando nell'aristocrazia del campionato, ma nella tribuna d'onore non sedevano più gli eredi della Dinastia. E alla vigilia di questo torneo, il presidente di turno ha avuto la delicatezza di scegliere come allenatore un gloriosissimo veterano, digiuno però di un minimo di pratica professionale indispensabile per gestire una grande squadra con tutti gli psicodrammi dei campioni. È venuta così, immeritata umiliazione, addirittura la sconfitta casalinga per mano della squadra ultima in classifica. Naturalmente, non bisogna esagerare. Il presidente Blanc e Ciro Ferrara impareranno in fretta la lezione perché, sono uomini di sport ed innamorati del loro mestiere, in fondo la Juve è terza in classifica ad una sola lunghezza dal Milan. Ma resta l'interrogativo sul legame tra Grandi Famiglie (o, per aggiornarsi, Grandi Gruppi)e club di livello internazionale. Un legame che oggi è più mai decisivo per confrontarsi con le grandi sfide delle coppe Internazionali e della fame insaziabile di spettacoli trasmessi in diretta TV a qualunque ora del giorno e della tarda serata, da Pechino o da Città del Capo.