Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Che bel sogno se non fosse per il risultato

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Perla prima volta nella mia vita sono venuto ad assistere a un derby in Curva Nord. Basta tv, troppo comodo, questo è uno di quei momenti in cui bisogna esserci, metterci la faccia e anche quel po' di cuore martoriato dagli ultimi eventi; uno di quei momenti alla Lazio-Campobasso, per capirci, uno di quei momenti come quando segnò Poli ed erano in 35mila partiti da Roma per andare a incitare i ragazzi, epperò che cavolo, io non c'ero ancora, sono nato un anno dopo. Scusate il ritardo. Sono in Curva Nord e non è come me la ricordavo: rispetto al solito, non siamo l'avanguardia del tifo di uno stadio biancoceleste; ma l'ultimo avamposto che resiste alla preponderanza dell'orda avversa; orda, insomma, non esageriamo: in fondo sono bravi ragazzi, hanno solo il piccolo difetto di tifare per la più giovane squadra della Capitale. Il clima è elettrico, ma va', chi l'avrebbe mai detto. Davanti a me due tipi discettano amabilmente: uno dice che preferirebbe addirittura perdere il derby ed eventualmente (orrore!) retrocedere, perché così ci libereremmo di questo presidente più ingombrante di un elefante in salotto; l'altro risponde «ma che sei matto?», ricordando all'amico che una retrocessione si porta in dote la non trascurabile controindicazione della necessità, poi, di risalire in A. Un terzo interviene per invocare silenzio, è uno che somatizza, ha profonde fitte alle orecchie quando sente nominare il numero uno della Lazio (Claudio L'otite?). Ho una strana sensazione di dejavù, poi realizzo che per una settimana non ho sentito altro nelle 186 trasmissioni radiofoniche che ho ascoltato per prepararmi psicologicamente in maniera adeguata alla partita. La tensione è quasi insostenibile, non basta vedere i ragazzi entrare in campo, non basta urlare a squarciagola per scioglierla. Qualcuno in Tribuna Tevere pensa di sfogarsi con qualche scazzottata, qualche bomba carta, un amichevole scambio di fumogeni; Rizzoli interrompe la partita, si tornerà a giocare quando tutti faranno i bravi sugli spalti. E vabbè, ricomponetevi per piacere. 6' di sospensione, un'eternità. Ma la Lazio è più pimpante, quando si ricomincia. Vuoi vedere che... La grandinata che qualcuno temeva non si verifica: i ragazzi tengono bene, certo ci fosse Rocchi in campo, ma non c'è. Ce ne faremo una ragione? No. Ma è bella la Lazio, è disperatamente bella, a volte pare un po' sgangherata, ma non cede un metro nel primo tempo, e va ancora meglio nel secondo. Quanto mi piace la Lazio stasera. Zarate, se segni sotto la Nord mi tatuo la tua faccia in mezzo al petto, ma non segna, prende palo; c'è Mauri che ribatte a colpo sicuro, quasi già esulto, ma Julio Sergio riemerge da non so dove e alza sulla traversa. Sono in trance, e ci rimango, mentre cambia il vento. Qualcosa succede intorno al 34', ma non so bene cosa. E forse non lo voglio sapere. Sono i tre fischi di Rizzoli a scuotermi. Esco velocemente dai cancelli dell'Olimpico, una corsa fino alla Farnesina, entro in macchina. Accendo lo stereo, questa canzone mi pare di conoscerla: sono gli Stones. «It's only rock'n'roll». Massì, in fondo hanno ragione loro: è solo tutto un gioco. Pensiamo alla salute.

Dai blog