"Champions si può"
In sei anni di Roma si è sentito dire di tutto. Prima brocco poi fenomeno, quindi è diventato «bollito» prima di tornare indispensabile. Mentre l'altalena dei giudizi continua a girare, Simone Perrotta è diventato campione del mondo ed è rimasto un punto fermo della squadra giallorossa. Ora, fresco di un rinnovo contrattuale in cui non credeva più neanche lui, punta la Champions. E il Sudafrica. Intanto domani arriva il Bari. «Sarà una partita molto dura contro la squadra che gioca il miglior calcio in Italia in questo momento. Per me è una sfida di ricordi: belli quelli del mio primo anno in Puglia, brutti se ripenso alla stagione successiva in cui siamo retrocessi nonostante fossimo molto più forti». Al Bari giocava da esterno, come adesso. «Sì, ma lì coprivo tutta la fascia e finivo per fare il terzino e marcare l'ala destra avversaria. Se devo essere sincero l'esterno non è un ruolo che si addice alle mie caratteristiche. Però lo faccio volentieri e non mi sono mai tirato indietro: in quella posizione ci ho vinto un Mondiale. Il ruolo che esalta di più le mie qualità è il trequartista atipico che si butta negli spazi. Ma deve esserci un attaccante che mi viene incontro, tipo Totti. Se invece ho una punta davanti che va negli spazi mi trovo in difficoltà perché mi costringe ad andare a prendere la palla e fare la giocata: non è roba per me». L'addio di Spalletti è stata una brutta botta? «All'inizio ci sono rimasto male, in ritiro l'avevo visto sereno e motivato. Però riflettendoci su devo ammettere che la squadra aveva perso qualcosa nell'ultimo periodo e serviva una scossa. Spalletti ha capito che non rispondevamo più alle sue sollecitazioni e ha preso questa decisione. Dopo tanti anni insieme subentra una confidenza tra allenatore e giocatori che non sempre fa bene». Come va con Ranieri? «È completamente diverso, l'ha spiegato appena arrivato: vuole una squadra compatta, non spettacolare, però in questi primi due mesi con lui abbiamo continuato a creare tante palle gol. Durante la settimana è un martello, così come i suoi collaboratori. Non mollano di una virgola e Ranieri ci inizia a parlare dell'avversario dal primo allenamento». La davano per finita, invece ora è tornato un titolare della Roma. «Non devo prendere rivincite con nessuno. Cerco di isolarmi dal contesto esterno anche se poi allo stadio i fischi li senti. Però essendoci passato al mio primo anno - e ci stavo molto peggio - so a cosa vado incontro e se le situazioni rigirano nel verso giusto questa piazza te lo riconosce». L'obiettivo di questa Roma? «Se vinciamo la partita con il Bari possiamo rientrare nella lotta per il quarto posto, che resta il traguardo da raggiungere: io ci credo». Si può giocare con Totti, Menez e Vucinic insieme? «Sì ma loro tre davanti devono collaborare alla fase difensiva altrimenti andremmo in difficoltà». Il rinnovo di contratto è stata una sorpresa? «Non sapevo nulla perché avevo chiesto al mio procuratore di informarmi soltanto su cose concrete. È venuto la sera dopo la partita col Napoli e mi ha presentato il contratto. L'offerta mi è andata bene e l'ho firmato». Perché soltanto un anno in più? «Quello mi hanno proposto. Se mi avessero offerto 25 anni di contratto li avrei firmati, inutile girarci intorno. Ma sono contento e so che se farò bene magari alla fine di quest'anno lo posso prolungare. Spero di chiudere la carriera qui a Roma, una città in cui potrei continuare a vivere anche dopo aver smesso con il calcio. Mio figlio ha 5 anni ed è praticamente romano, ora ne sta arrivando un altro». Si dice spesso che siete un gruppo «spremuto». «È un marchio che hanno dato soprattutto a me ma noi non ci sentiamo così. Personalmente ho risolto i miei problemi fisici che non sapevo di avere e ora ho ritrovato la voglia di correre che sinceramente avevo perso». Il suo segreto? «Mi alleno come se stessi giocando una partita e mi trattengo a tavola: non sono uno di quelli che mangia due cornetti con la nutella la mattina, ma non sono neanche uno che va a guardare i 50 grammi di pasta». Nessuno parla più di lei in chiave Mondiale. «Nelle "proiezioni" non c'ero nemmeno quattro anni fa, può essere di buon auspicio. Ci sono ancora dei posti liberi, Lippi ha qualche dubbio e da qui a marzo proverò a metterlo in imbarazzo». Il ct non andrà mai d'accordo con Cassano? «Non conosco la situazione, senza dubbio Antonio sta facendo grandi cose e per Lippi è sicuramente un bel dilemma. Come per Totti, anche se è una questione diversa. Bisogna capire Francesco cosa abbia in testa: se dirà pubblicamente che vuole andare al Mondiale, Lippi sarà sicuramente in "crisi" perché un giocatore come lui è difficile lasciarlo a casa». Amauri sì o no? «Mi sarebbe piaciuto che lui avesse deciso in quale nazionale giocare non adesso ma qualche tempo fa. Invece è rimasto in sospeso tra Italia e Brasile per troppo tempo. Anch'io potevo scegliere la nazionale inglese visto che sono nato lì ma ho subito scelto l'Italia». Ha fatto benissimo.