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Dominguez: "Italia che occasione"

Gli All Blacks eseguono la famosa danza Maori

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MILANO - Lui gli All Blacks li ha incontrati due volte, anzi tre. Diego Dominguez, mai troppo rimpianto mediano di apertura con la vocazione da eroe dei due mondi della palla ovale, ha indossato sia la maglia dell'Italia che quella dell'Argentina. Con quella azzurra Dominguez si è trovato di fronte alla Haka due volte, la migliore e la peggiore prestazione della storia dell'Italrugby contro la Nuova Zelanda. Del resto è fatto così, non sa cosa sia la media. Nel '91, la migliore, finì 31-21: «E potevamo vincere. L'arbitro - spiega - fermò una mia azione che sarebbe finita in meta per un fallo tecnico, altrimenti poteva andare in un altro modo». Stava nascendo una squadra dalla personalità straripante che, di lì a poco sotto la guida di Coste, si sarebbe guadagnata l'ingresso nel Sei Nazioni a suon di vittorie: «Alla World Cup del '91 l'allenatore era ancora Fourcade - ricorda Dominguez - e la sera prima del match mi sorprese. Venne nella mia stanza dicendomi che avrei giocato primo centro anziché apertura, gli chiesi se fosse diventato matto! Invece in campo funzionò». Un salto di otto anni, i migliori della storia ovale azzurra, poi eccoci al '99, allenatore Mascioletti nel disastroso dopo-Coste: «Finì 101-3, un cappotto. Loro erano già superprofessionisti, noi ancora no e la differenza in campo si vide». Ma per Diego gli All Blacks non erano una novità: «In effetti, li avevo già incontrati nel 1988 nel tour in Nuova Zelanda con l'Argentina. Fu noiosissimo. In campo ci massacravano, fuori non ci si divertiva per niente, è un paese che offre ben poco allo svago». I più esuberanti tra i Pumas non si accontentarono di foreste e ghiacciai: «Io mi ricordo soprattutto la pioggia e le pecore. Poi però con sette compagni di squadra ci fermammo al Club Med di Tahiti e lì rimettemmo le cose a posto». Incorregibile. Cosa darebbe per essere in campo oggi?: «Darei la vita per giocare. Ci sono momenti in cui gli uomini possono cambiare la storia, gli Azzurri non dovranno andare a cercare le motivazioni. San Siro vuoto fa venire la pelle d'oca, figuriamoci con 80.000 persone. Indosseranno la maglia del loro paese, giocheranno contro gli All Blacks che non hanno schierato i migliori. Sono venuti a casa nostra e sono andati tutta la settimana in giro a girare spot e a fare fotografie. Se non gli viene voglia di sbranarli con queste condizioni, allora quando?». La tentazione è quella di mandarlo negli spogliatoi prima della partita: «Non servirà. Sergio Parisse è un grande capitano e i ragazzi queste cose le sanno meglio di tutti». Facciamo un gioco. Se potesse giocare con la «sua» Italia con la preparazione professionistica di oggi contro gli All Blacks scommetterebbe sulla vittoria?: «Mi giocherei tutto. Con quel gruppo andrei in guerra, sfiderei chiunque. Figuriamoci se avessimo avuto i supporti che hanno i giocatori di oggi. Basti pensare che fanno quattro massaggi al giorno, noi il fisoterapista lo vedevamo una volta a settimana». Altri tempi, speriamo di non doverli rimpiangere.

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