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Campioni di cuore

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Gianluca Zambrotta mentre si allena con i compagni della nazionale di calcio allo stadio Fattori a L' Aquila

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Ora anche gli azzurri della nazionale di calcio lo sanno: L'Aquila tornerà a volare, presto. Una giornata in mezzo alle macerie, fra dolore e sofferenza dove lacrime e ricordi hanno lasciato spazio alla speranza della ricostruzione. Una giornata piena di volti, di storie, di rabbia, di amarezza ma anche di amore verso lo sport, soprattutto il calcio, che riesce a strappare sorrisi a bimbi col cuore distrutto. Alle 10.30 il primo boato, una festa di settemila anime dentro allo stadio Fattori: entra Lippi.   Il cittì va in mezzo al campo, saluta, s'inchina a tanto affetto di almeno tremila giovani calciatori delle scuole calcio dell'Aquila e dintorni. Poi via via gli altri, Buffon, Chiellini e gli juventini i più applauditi ma anche gli altri, senza dimenticare gli abruzzesi Grosso e De Sanctis. Su un improbabile tabellone compare la scritta «L'Aquila saluta i campioni del mondo». mentre entrano gli altri calciatori per cominiciare la seduta d'allenamento. A bordo campo la coppa che segue la comitiva azzurra da quella magica notte di Berlino, Cannavaro fa aumentare i decibel degli applausi, ma ogni giro sul terreno di gioco diventa un abbraccio infinito. E per qualche ora la gente di questa terra martoriata può non pensare a quello che c'è cento metri più in là. Una salita, una piazza e comincia la zona rossa, corso Vittorio Emanuele. Ancora qualche vicolo e la basilica di Santa Maria di Paganica ti porta all'inferno, a Beirut, alla distruzione, alle macerie dove il silenzio è rotto solo da qualche isolato operaio che puntella un'abitazione per evitare nuovi crolli. E poi piazza Palazzo, via Roma, l'Università, solo rovine, nessuna voce. Ancora chiese imbustate per salvare il salvabile e tanti resti di una vita che non c'è più. Lippi era già stato qui in estate, aveva visitato la zona rossa, stavolta la comitiva azzurra non appena terminato l'allenamento, sale sul pullman ma il programma non prevede l'ingresso nel punto peggiore, nel cuore dell'Aquila sventrata il 6 aprile alle 3.32 da quella scossa infame. Solo un rapido passaggio verso le 13 a viale Venti Settemebre dove non c'è più la casa dello Studente inghiottita dalla terra. Davanti tanti lumini per ricordare i ragazzi che non ce l'hanno fatta, ma gli azzurri non si fermano, così prevede un protocollo per certi versi incomprensibili. Si va al quartiere dove stanno spuntando come funghi case nuove. Ad accogliere Lippi e i suoi, tanti tricolori alle finestre eredità dell'ultima visita di Berlusconi. Qui gli azzurri si fermano, stringono mani, salutano, scambiano qualche parola con gli aquilani. E il primo contatto vero con la gente che poi si ripete nella caserma di Coppito dove i giocatori della nazionali pranzano insieme con gli sfollati. Tris di primi dove giganteggia una pennetta al sugo, spiedini di carne o di pesce, dolce. Una mensa che serve mille pasti al giorno, tutte persone che non hanno più nulla. Infine ancora l'amore della gente nell'auditorium dove c'è Pino Insegno e la figlia giovanissima di Tardelli a presentare. Lacrime vere quando si canta l'inno, quello degli aquilani: tutti, ma proprio tutti in piedi a snocciolare le strofe di «Domani», la canzone della rinascita. Dopo c'è anche «Mameli» ma è un'altra storia. La nazionale passa e chiude, se va al mare dove domani sfiderà l'Olanda. ma negli occhi dei giocatori resteranno indelebili le immagini dei bambini aquilani, della gente aquilana che non mollerà mai.  

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