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Thorn, un leader lungo novecento minuti

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EppureBrad Carnegie Thorn, colosso da 196 centimetri per 115 chili, è un uomo buono e timorato da Dio, ma fuori dal campo. In effetti, dopo una gioventù sregolata tutta donne facili e birra a fiumi, l'incontro con un compagno di squadra, Jason Stevens, ne cambiò la vita. Allora Thorn aveva 22 anni ed era nella nazionale australiano di Rugby a XIII: «In quell'ambiente sembrava normale cambiare una donna a sera e bere come matti - racconta il seconda linea - ma le parole di Jason mi convinsero a pregare e leggere la Bibbia». Fu così che il gigante nato in Nuova Zelanda a Mosgiel, ma trasferitosi con la famiglia in Australia all'età di 9 anni, incontrò Dio. La sua vita cambiò, e non per l'ultima volta. Thorn è uno di quei rari esempi di atleti capaci di eccellere sia nel Rugby Union, la versione a XV, sia nel Rugby League a XIII giocatori, specialità da cui è partito e tornato un paio di volte. Dopo aver vinto tutto nel XIII con i Brisbane Broncos, nel 2000 cedette al richiamo della patria, tornò in Nuova Zelanda per giocare a XV. Un anno dopo stupì tutti rinunciando alla convocazione con gli All Blacks: «Non sono ancora pronto tecnicamente per onorare la maglia», disse. Lui è fatto così, o il massimo o nulla. Anche in Nuova Zelanda vince tutto con i Crusaders, poi accetta la convocazione e diventa un punto fermo degli All Blacks. Nel 2005 ancora una parentesi in Australia nel XIII per poi tornare definitivamente con la Nuova Zelanda dal 2007. Oggi è il leader-ombra del pack dei Tutti Neri, dietro la stella brillante di Mc Caw. Il suo contributo ha un peso enorme sia nelle fasi statiche che nel gioco aperto. Fenomenale in difesa si esprime al massimo nell'area del breakdown, la trincea del lavoro sporco. In patria lo chiamano «Mr. 880 minuti», visto che nelle ultime undici partite degli All Blacks ha giocato ogni singolo istante non uscendo mai dal campo. Nel rugby super fisico di oggi, una rarità. Per Brad Thorn, la normalità: «Credo che il mio dovere sia dare il massimo in campo, quando ne esco devo essere certo di aver dato tutto per stare in pace con me stesso, il resto è facile». Proprio per essersi guadagnato un turno di riposo e considerato che l'Italia è l'avversario più abbordabile del Tour, sabato non sarà nemmeno in panchina. Graham Henry lo vuole al massimo contro le grandi. Ale.Fus.

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