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Bisogna unirsi per fermare l'onda milanese

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Ese il Milan ha il Presidente del Consiglio, Lazio e Roma hanno presidenti che, di questo periodo, avrebbero bisogno di buoni consiglieri. I Sensi sono una dinastia che è partita coi sogni imperiali e ha finito per bisticciare con le banche e con la tifoseria, oltre che col ginocchio del Pupone, Claudio Lotito timbra ogni domenica il cartellino di patron di una squadra enigmatica al cospetto di un popolo che ha coltivato una breve illusione di grandezza affondata in un calciomercato disastroso. Se volessimo dare una lettura politica di questa situazione, ne verrebbe velocemente rafforzata la sensazione che, pure nel calcio, l'asse del Nord funziona alla grande, nella forma dell'asse meneghino riproduzione della liason Berlusconi-Bossi. Berlusconi se la prende con gli arbitri della Consulta, le romane con gli arbitri del campo da gioco. Milano corre e Roma rincorre, Milano accelera e Roma annaspa, Milano occupa spazi e Roma chiede spazi (e in politica, chiede fondi per la Capitale), recrimina, se la prende con la sua classe dirigente, presidenti e allenatori, vede l'Europa che si allontana (la Lazio) e il campionato che promette delusioni (la Roma) nonostante l'idea farlocca che i Sensi hanno una squadra da scudetto. E il derby incrociato di oggi, allora, ha il sapore di un Piave piazzato sulla riva del Tevere: o tutti eroi, o tutti accoppiati nella sventura. È il banco ultimativo di un esame che a settembre, diciamolo francamente, nessuno avrebbe pensato di superare nella forma di una forca caudina: Roma e Lazio sanno bene, e la Lazio più della Roma, che un passo falso, peggio se un tracollo come quello che i biancocelesti hanno patito col Milan lo scorso anno, sarebbe esiziale. Certo, c'è che i romani, in questo genuinamente meridionali, passano con facilità dalla rabbia alla rassegnazione, e dalla rassegnazione all'indifferenza. Certo, lo spazio per l'immaginazione c'è sempre, e come sempre si può immaginare che Zarate Kid fulminerà Dida o De Rossi compirà un altro miracolo di salute. Si può, scaramanticamente, farci forza e magari superare, laziali e romanisti, qualche scoglio di rivalità in questi tempi tristi. Ma non accadrà perché, come ti insegnano alle elementari del tifoso, la regola numero uno è che gli altri, i cugini, gli intrusi nella Capitale, devono perdere, il resto viene dopo, la solidarietà sportiva è concetto da telespettatori in pantofola, non da leoni dell'Olimpico. Per ora contiamo i punti, osserviamo gli assi milanesi e il legno storto romano, e attendiamo. Sul Piave messo dalle parti del Tevere. O della tribuna Tevere.

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