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Quell'atletica targata Primo Nebiolo

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Delprimo organismo il dirigente torinese fu a lungo membro di Giunta esecutiva e vice presidente negli anni '70 e '80, alternando gli incarichi nei periodi presidenziali segnati prima dall'inattaccabile autocrazia di Giulio Onesti, poi dalla presenza decennale di Franco Carraro e infine da Arrigo Gattai. Del secondo, guidò le sorti per venti anni, affiancando i ruoli nazionali con un'imperiosa scalata ai vertici mondiali, celebrati prima con la presidenza della Federazione di atletica, poi con quella delle Federazioni olimpiche estive e con la nomina a membro del Comitato olimpico internazionale, ruoli che ne fecero per intere stagioni un'indiscutibile potenza, tanto avvertita quanto temuta, e spesso scomoda, nei complessi equilibri di potere dello sport mondiale. La presenza di Nebiolo fu scomoda anche dalle nostre parti, sia nei confronti del CONI, spesso in sofferenza dinanzi alla vitalità del dirigente, sia nei confronti del mondo del calcio, come quando impose che negli stadi edificati con finanziamenti pubblici per i campionati mondiali del 1990, iniziando dalla Torino degli Agnelli, fosse prevista l'installazione della pista di atletica. Attento a dilatare le proprie frontiere, personali e della disciplina rappresentata, con ogni strumento a portata d'intelletto, e d'intelletto il dirigente era ampiamente provvisto, non sempre, nel suo attivismo, Nebiolo privilegiò le buone maniere. Come ogni rivoluzionario, azzerò uomini e situazioni, portando in poche stagioni l'atletica ai vertici delle attenzioni nazionali e internazionali, potendo tra l'altro contare negli anni, quanto ai colori italiani, su un nucleo di atleti difficilmente ripetibile, Paola Pigni, Franco Arese, Renato Dionisi, Marcello Fiasconaro e Sara Simeoni, Pietro Mennea e Alberto Cova, Gabriella Dorio e Alessandro Andrei, Francesco Panetta, Stefano Mei, Venanzio Ortis, Maurizio Damilano, Salvatore Antibo, Agnese Possamai e Genny Di Napoli. Realizzò miracoli di diplomazia, portando la Cina in Italia quando la nazione era fuori dal CIO e componendo negli anni '80 i boicottaggi olimpici sulla pista dello Stadio romano. Inventò le Universiadi, aprendo nel '73 la strada ai Giochi di Mosca. Recò il messaggio dell'atletica in zone lacerate dai peggiori conflitti, tra le macerie di Sarajevo, nei climi sconvolti di Belfast, nelle miserie etniche di Soweto, ma anche nelle residenze principesche di Montecarlo e del Qatar, dopo aver da tempo messo i sigilli alla polverosa sede londinese della Federazione internazionale. Il confronto con l'oggi, sia per l'atletica italiana, per il ruolo ancillare cui la disciplina è soggetta da anni, sia in ambito internazionale, con una federazione sempre più in affanno nella sontuosa sede adagiata a fronte della Costa Azzurra, è inevitabile. E, per l'oggi, irrimediabilmente in passivo.

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