Quarant'anni e non sentirli
Città in piedi. Così Céline, descrivendo l'arrivo nella metropoli statunitense nel suo Viaggio al termine della notte. New York ripropone domani un rituale che da quaranta anni espone al mondo la sua intatta verginità di umori. 26,2 miglia, 42,195 metri per la più immaginifica e vitale delle migliaia di maratone che il mondo ospita annualmente, da quando, da fenomeno isolato, la corsa produsse una rivoluzione antropologica divenendo potente fenomeno di costume in tutti i continenti. Partirono in 127, quella prima volta del 1970, lungo i quattro giri tracciati nel Central Park. Ne giunsero 55 al traguardo. Vinse Gary Muhrcke, vigile del fuoco. Una sola donna alla partenza, Nina Kuscsik, smarritasi durante il percorso. Inventore di quella che all'epoca sembrò una bizzarra scommessa, Fred Lebow, ebreo della Transilvania fuggito prima dai nazisti e poi dai comunisti e che nel 1992, minato irrimediabilmente da un carcinoma al cervello, volle salutare la vita correndo sulle strade inventate trentadue anni prima, baciando l'asfalto del traguardo come una terra promessa e giungendo piangente dopo 5 ore e mezza di corsa assieme alla norvegese Grete Waitz, vincitrice in nove edizioni della corsa. Un tratto di strada dell'East Side di Manhattan reca ora il nome di Lebow, e una statua perpetua la memoria dell'uomo che annullò l'ostilità dei teppisti del Bronx ingaggiandoli come volontari con una semplice T-shirt in premio. Alla settima edizione, nel 1976 il tracciato si dilatò dal Central Park aprendosi ai cinque distretti della Big Apple, attraversando Staten Island, Brooklyn, Queens, Manhattan e il Bronx, con la lunga colonna umana appesa alla partenza sui rettifili del ponte intitolato a Giovanni da Verrazzano, il navigatore fiorentino che agli inizi del '500 aveva toccato le coste dalla Carolina del Sud a Terranova. Il giorno della maratona, New York esplode sulle strade. Un edonismo collettivo. Una meraviglia, un immenso caleidoscopio di etnie, di colori e di calori, uno strepitoso corridoio umano che rende ogni concorrente protagonista della gara, dal primo all'ultimo arrivato, in un processo di coinvolgimento popolare estraneo alla nostra (in)cultura. Tra i quarantamila partecipanti, la tradizionale incursione di tremila italiani, privi di protagonisti. Direttore di Correre, la migliore rivista nazionale del settore, torna sul luogo del delitto Orlando Pizzolato, vincitore a sorpresa nel 1984 e ancora primo al traguardo l'anno successivo, convinto di ritrovare immutato, dopo venticinque anni, il fascino di quella corsa unica al mondo che lo rese celebre. Furono stagioni in cui la RAI toccò con mano la spettacolarità della corsa, rimanendovi televisivamente fedele fino a giorni nostri. Anche domani. Ma minaccia cattivo tempo.