Il Pallone d'Oro certifica il declino del calcio italiano
La notizia non è freschissima e già ieri era stata ampiamente trattata sulle pagine di questo giornale, ma aiuta a riflettere e suggerisce qualche considerazione. Tra i primi 30 giocatori in corsa per il Pallone d'Oro - il premio giornalistico al migliore calciatore che gioca in Europa - non c'è nemmeno un italiano. Affascinati da un campionato sempre più tinto di nerazzurro, dunque ad altissimo coefficiente di stranieri, ci dimentichiamo quasi che spazio per i giocatori italiani nei nostri club ce n'è sempre meno. Ecco allora un'Italia sballata che rischia la figuraccia con Cipro. Oppure l'under 21 di Casiraghi che - non potendo sfruttare giovani che hanno nelle gambe partite ed esperienza - non riesce ad emulare la tradizione di successi di questa nostra nazionale; e perfino l'under 20 di Rocca, eliminata al mondiale ai quarti con una formazione fatta di giovani che proprio il campo, nei rispettivi club, non lo vedono mai. È il solito dilemma: come far conciliare le scelte delle società che vogliono vincere, con la tutela dei vivai e del Made in Italy? L'enigma affligge pesantemente altri sport di squadra in crisi, primo tra tutti la pallacanestro. Ma nel calcio bisognerebbe anche avere un po' più di coraggio. Perché - e qui Lippi ha poco da arrabbiarsi - i talenti ci sono (Cassano e Pazzini di una Samp che meriterebbe ben altra considerazione mediatica), ma non vengono considerati per questioni caratteriali. Certo, quello juventino è il più solido e il più eterogeneo nella distribuzione dei ruoli in mezzo al campo, ma se poi l'Italia - intesa come nazionale - deve affidarsi alla rincorsa di un oriundo come Amauri, evidentemente c'è qualcosa che non va. Essere campioni del Mondo è materia di vanto, ma non concede scorciatoie. Per fortuna il calcio, come la vita, impone sempre di confermare i propri meriti, rendendo inutile l'odioso vezzo di cullarsi su cosa si è vinto. Peraltro, e Lippi lo sa meglio di tutti, grazie a un'impresa ormai vecchia di tre anni e mezzo. Del resto, se l'ultimo successo in Champions è targato 2007, se la Uefa - ora Europa League - è un territorio a noi sconosciuto, vuol dire che in questi ultimi il calcio italiano ha subìto una profonda involuzione. La soluzione sarebbe quella di puntare, con coraggio, sui giovani e su quelli che dimostrano di avere classe e testa per dimostrarla sul campo. Ma se non si batte questo percorso, c'è poco da fare: i campioni (e non solo quelli che costano quasi 100 milioni di euro) avranno sempre un passaporto diverso da quello italiano. Capire questa realtà è già un buon esercizio per cercare di trovare, in tempi brevi, una soluzione al problema. Altrimenti il «risveglio», tra qualche mese in Sud Africa, rischia di essere ancor più doloroso.