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La fila s'allunga.

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Quattrocandidature, un numero che già pronunziarlo suscita imbarazzo, e non è detto che più avanti, sfogliando le pagine del libro, un occhiuto assessore non si svegli con la tentazione di sollevare in aria il vessillo dell'olimpismo, rivendicandone la paternità. Roma, Venezia, adesso Palermo e domani Bari, in ballo per l'assegnazione dei Giochi del 2020. L'appetito è potente. Da tempo il fatto olimpico è più competenza dei mercati che dei 100 metri o del quattro con timoniere. Il fascino della fiaccola e dei cinque cerchi non è una strana voglia, come qualcuno vorrebbe si supponesse, perché già sillabare il termine Olimpia significa colmare affanni di visibilità e aprirsi alle pagine dei quotidiani, e annunciarne la candidatura significa molto, molto di più, negli uffici pubblici come in quelli privati, nelle sale municipali e negli assessorati, nelle banche come negli studi di consulenza, nelle corse elettorali come nella distribuzione dei posti e degli appalti. Ieri è stato il turno di Palermo. Affiancata, segno dei tempi, da un furgone satellitare allestito per la diretta televisiva, la città è salita nella controra al primo piano di via dell'Umiltà, sede dell'Associazione stampa estera. A rappresentarla, il presidente regionale Raffaele Lombardo e l'assessore Nino Strano, avendo come testimone Giovanna Nebiolo, vedova del dirigente cui l'isola è grata per essere stata preferita a Pechino per le Universiadi del 1997. Assente, ma il dettaglio è irrilevante data la disinvoltura dell'assieme, il sindaco della città. Assicurati le risorse finanziarie, il restauro dei vecchi impianti, la costruzione di nuovi, tutto il resto delle infrastrutture necessarie. Non v'era dubbio.

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