È ancora vivo il mito di Campo Testaccio

Il 3 novembre 1929, di fronte al Monte dei Cocci, veniva inaugurato il leggendario Campo Testaccio. L'impianto, in legno verniciato di giallo e rosso, sul lato corto fronteggiava il cimitero acattolico (più noto come «camposanto degli inglesi»), sorto ai piedi dell'insolita tomba a forma di piramide che il ricchissimo Caio Cestio volle farsi costruire dai propri eredi. Uno spicchio di Roma davvero interessante, nel bel mezzo degli antichi Prati del popolo romano. Origini - L'A.S. Roma nacque ufficialmente il 22 luglio 1927 e il suo primo presidente fu Italo Foschi, uno degli autori della Carta di Viareggio. La squadra, dai colori giallorossi e con la lupa quale simbolo, esordì in campionato il 25 settembre al Motovelodromo Appio contro il Livorno, sconfitto 2-0. Il 29 luglio 1928 la Roma conquistò la Coppa CONI, superando 2-1 il Modena nello spareggio sul campo neutro di Firenze. All'annuncio della vittoria l'entusiasmo dei tifosi fu tale da paralizzare il traffico nel centro cittadino, convincendo così i dirigenti giallorossi che i 10.000 posti del Motovelodromo erano ormai largamente insufficienti. La S.S. Lazio disponeva della Rondinella, grazioso impianto situato tra lo Stadio Nazionale e l'ippodromo dei Parioli. Anche Foschi desiderava un campo tutto per la sua squadra e si rivolse perciò al governatore: con deliberazione del 3 dicembre 1927 Spada Potenziani concesse alla A.S. Roma in affitto per venti anni un terreno di circa 2 ettari a Testaccio in angolo tra le vie Zabaglia e Caio Cestio, che faceva parte del magazzino dei selci. Poco dopo, però, la Roma chiese di acquistare il terreno e le trattative si complicarono. Ma i lavori, pur in assenza di un contratto, andavano avanti. Nel primo progetto (dovuto all'ingegner Amerigo De Bernardinis) erano previste solo due tribune frontistanti, lunghe ciascuna 120 metri: quella principale, alta 8 metri, aveva 15 gradinate, l'altra 30, con una capienza totale di 10.500 posti a sedere. Calcolando anche i due parterre di 150 x 6 metri, l'impianto avrebbe potuto ospitare 15.000 spettatori: ancora troppo pochi per i tifosi romanisti in impetuosa crescita. A causa dei problemi sorti per l'acquisto dell'area a Testaccio, il presidente Sacerdoti (che era subentrato a Foschi) decise di dare corso alla convenzione per l'affitto. Il governatore dell'epoca, Boncompagni Ludovisi, approvò con deliberazione del 10 agosto 1929 e la convenzione fu sottoscritta il 6 settembre. Il contratto dava però al Governatorato la facoltà, «a suo insindacabile giudizio, di revocare la concessione in qualunque tempo e di ottenere la piena disponibilità del terreno». Se ciò fosse avvenuto entro dieci anni, avrebbe dovuto corrispondere alla Roma «un'indennità pari al valore dei manufatti costruiti, valore da accertarsi a suo giudizio insindacabile». Insomma, l'A.S. Roma era alla mercé del Governatorato, a rischio di sfratto già alla firma della convenzione. Ostacoli - Facciamo un piccolo passo indietro. Il 2 agosto 1929 Sacerdoti aveva presentato all'Ispettorato Edilizio del Governatorato il nuovo progetto del campo sportivo, redatto dall'ingegner Albano Dirtani. Il 13 agosto, tuttavia, la Commissione Edilizia sospese la decisione in attesa del benestare del Ministero della Pubblica Istruzione, che aveva prospettato l'opportunità di vincolare quella parte di Testaccio a zona di rispetto. Il 25 ottobre la Commissione di Vigilanza Teatrale visitò l'impianto, nel frattempo realizzato senza alcun permesso, riconoscendo «che le tribune in legname erano costruite a regola d'arte e presentavano le volute condizioni di stabilità e di solidità», ma prescrivendo alcune norme per prevenire «il grave pericolo d'incendio connesso a una costruzione di tal natura». La Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, invece, non volle «esprimere alcun parere di competenza perché il progetto era già stato eseguito». Lamentava inoltre che «l'intervento tempestivo del Ministero dell'Educazione Nazionale avrebbe potuto evitare almeno la costruzione dell'altissima e poco estetica tribuna in legno proprio di fronte alla suggestiva alberata del Cimitero acattolico». Il 3 dicembre, un mese dopo l'inaugurazione, la Commissione Edilizia decideva che, «per quanto il progetto lasciasse molto a desiderare, tutto sommato l'approvazione si poteva concedere», tanto più che - notava con una punta ironica - l'impianto era da tempo in funzione. Abusivamente, quindi.   Innovativo - Il Campo Testaccio era concepito, come il contemporaneo stadio di San Siro a Milano e il Luigi Ferraris di Genova, secondo il modello inglese, ossia con quattro tribune indipendenti poste intorno al terreno di gioco (il quale però - a Testaccio - si trovava all'interno di una pista larga 6,50 metri). Questo misurava 110 x 70 metri e siccome il regolamento fissava il limite minimo a 60 metri, poteva essere ristretto o allargato a seconda delle esigenze tattiche delle diverse partite. Il terreno erboso, molto curato, aveva un ottimo drenaggio. Su via Zabaglia, ai piedi del Monte dei Cocci, si ergeva la tribuna principale. Lunga 112 metri, larga 16 e alta 13, era coperta per 64 metri nella parte centrale da una tettoia sorretta da sei pilastri, che riparava la tribuna d'onore per le autorità e i posti riservati ai soci vitalizi e alla stampa. La tribuna principale constava di 21 gradini e poteva contenere 5.000 persone. Sotto la tribuna si trovavano vari locali di servizio e - verso via Caio Cestio - gli spogliatoi, da cui i giocatori accedevano al campo attraverso un sottopassaggio. La facciata su via Zabaglia, in mezzo a tanto legno, aveva uno zoccolo in muratura alto 4 metri, traforato da portoni e finestre. Di fronte alla tribuna principale si estendeva imponente quella dei «distinti», lunga 120 metri, larga ben 20,50 e alta 16. Aveva 31 gradini e ospitava comodamente 8.000 spettatori. I pali di sostegno erano dotati, diciamo così, di «misuratori di affollamento»: frecce che, sotto il peso del pubblico, scorrevano verso il basso indicando la capienza via via raggiunta. Le gradinate «popolari» (assenti nel primo progetto) sorgevano dietro le porte del campo di gioco, sopraelevate di 4 metri dal suolo per creare due tunnel parzialmente a giorno che consentissero il passaggio dei podisti quando affrontavano le curve della pista, finite proprio lì sotto per mancanza di spazio. Lunghe 60 metri, larghe 12 e alte 10, le cosiddette «balconate» disponevano di 15 gradini e su ciascuna di esse trovavano posto oltre 2.000 persone. Inoltre, fra le tribune e la rete metallica delimitante il terreno di gioco, si ricavarono due parterre: inclinati verso il campo per assicurare una migliore visibilità agli spettatori, erano lunghi ciascuno 120 metri e larghi 7. Vi si accalcavano circa 6.000 tifosi.La costruzione di Campo Testaccio fu affidata alla ditta Pasqualin e Vienna, con sede a Venezia, assai nota per aver realizzato diversi edifici alle Esposizioni di Torino nel 1898 e nel 1911, nonché il padiglione italiano all'Esposizione Universale di Parigi nel 1900. Inaugurazione - I giallorossi avevano giocato il campionato 1927-28 al Motovelodromo Appio e quello 1928-29 allo Stadio Nazionale in viale Tiziano, ristrutturato e inaugurato il 25 marzo 1928 con l'incontro Italia-Ungheria (esordio della Nazionale a Roma). Nel 1929-30 si disputò il primo campionato a girone unico, che comprendeva 18 squadre. La Roma fece il suo esordio casalingo il 13 ottobre 1929 alla Rondinella, battendo 9-0 la Cremonese. Ma alla quinta giornata, il 3 novembre 1929, l'incontro Roma-Brescia (2-1) inaugurò finalmente il campo di Testaccio in un brulicare di folla. Accanto a Sacerdoti intervennero alla cerimonia Augusto Turati, segretario del Partito Nazionale Fascista e commissario del CONI, che tagliò il nastro tricolore all'ingresso del campo; Leandro Arpinati, sottosegretario agli Interni e presidente della FIGC; Lando Ferretti, capo dell'Ufficio Stampa del duce; il primo presidente della Roma, ora prefetto di La Spezia, Italo Foschi; monsignor Bartolomasi, vescovo castrense, che impartì la benedizione. Il giorno dopo La Gazzetta dello Sport scrisse che l'inaugurazione si era svolta «con rito austero e con sobrietà di pompa, come insegna lo stile fascista». Declino - A causa delle sue caratteristiche costruttive Campo Testaccio già pochi anni dopo mostrava i pesanti segni del tempo e teneva in apprensione le autorità competenti (non il pubblico, che continuava ad affollarne gli spalti). Subì quindi numerosi interventi di restauro e ristrutturazione, in particolare nel 1937-38: le fatiscenti gradinate in legno dei distinti e dei popolari furono abbattute e rimpiazzate rispettivamente da una tribuna in cemento da 3000 posti e da due terrapieni per 4000 spettatori in piedi, riducendo notevolmente la capienza dell'impianto. Ai motivi di sicurezza si aggiungevano le necessità pubbliche. Il piano regolatore del 1931, ad esempio, voleva dar corpo al grande Parco Cestio tra viale Aventino e via Zabaglia. Il CONI intendeva invece realizzare un grande centro sportivo, comprendente l'Istituto di Medicina dello Sport e uno stadio di forma ellittica per 25.000 spettatori. Il vicino cimitero acattolico, inoltre, levava continue proteste, certamente non immotivate: a causa dell'esuberante entusiasmo dei tifosi aveva perduto quell'atmosfera di pace che spinse Shelley a scrivere: «Ci si potrebbe innamorare della morte al pensiero di essere sepolti in un luogo così soave». La concessione del terreno era stata revocata dal governatore Bottai con deliberazione del 27 agosto 1936, che rimase a lungo inapplicata. Ma nel triste autunno 1940, a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra, si dovette inesorabilmente procedere alla demolizione del glorioso impianto. La Roma abbandonò Campo Testaccio il 18 ottobre, come riportano gli atti ufficiali. Tre giorni dopo, quasi temendo un ripensamento dei giallorossi, si mise mano ai lavori. A Testaccio la Roma giocò in campionato fino al 2 giugno 1940, allorché sconfisse il Novara 3-1, ma l'ultima partita fu un'amichevole con il Livorno, battuto 2-1 il 30 giugno 1940. Vi disputò complessivamente 214 partite tra campionato, coppe e amichevoli: 150 furono le vittorie, 34 i pareggi e 30 le sconfitte. «Campo Testaccio, ciai tanta gloria, nessuna squadra ce passerà», cantavano i tifosi festanti. Il campo, ovviamente, non è rimasto imbattuto, ma la gloria sopravvive, eccome. Nostalgia - Il 21 ottobre 1943 Roberto Fazi scriveva sul quotidiano sportivo Il Littoriale un articolo intitolato Campo Testaccio di ieri, giardino pubblico di oggi (quanta malinconia!). Mentre faceva scorrere i ricordi nella mente, l'autore provava una sorta di rancore verso quello «striminzito» giardino pubblico ricavato al posto dell'impianto abbattuto. «Niente più tribune, niente più folla. Niente atmosfera satura di ansie e attese, ma silenzio, calma e dei bimbi che giocavano con la ghiaia». Immaginava anche il rammarico del vecchio, glorioso campo, che non aveva potuto vivere l'emozione dello scudetto, vinto nel 1941-42 allo Stadio Nazionale. E concludeva: «Povero amico, hai ragione. Ma tu ne sei lieto lo stesso, non è così?». Ne siamo tutti sicuri, amico carissimo, indimenticabile Campo Testaccio, così vivo ancora oggi nel grande cuore dei tifosi giallorossi.