Sul doping il calcio sia più duro
Il garantismo è merce rara soprattutto nel mondo della giustizia sportiva. Veloce, incompleta e a volte ingiusta, sacrifica queste sue imperfezioni in nome e per conto di una sanzione che non può essere ricercata con l'ausilio della polizia e attendere i tempi della giustizia ordinaria. La premessa è necessaria andando a commentare quel che è accaduto. E non a uno qualunque, ma al giocatore che, formalmente, è il più rappresentativo del nostro calcio: il capitano della nazionale azzurro, Fabio Cannavaro. Lui, quello con la quarta coppa del Mondo tra le mani la notte di Berlino, positivo all'antidoping. Oggi, a Torino, il giocatore avrà modo di spiegare col medico sportivo della Juventus cosa è accaduto: lo ascolterà infatti il procuratore dell'antidoping del Coni, l'ex magistrato Ettore Torri. Se, come sembra da una prima ricostruzione, si tratta solo di certificazioni che si sono smarrite - raccomandate con ricevuta di ritorno - la storia dell'antiallergico preso ad inizio campionato per una puntura di ape, sarà solo una tempesta in un bicchier d'acqua. Niente doping, niente frode: solo un cortisonico, un farmaco per non subire uno choc anafilattico non denunciato nei modi e nei tempi giusti. Certo, i maligni hanno subito ricordato come lo stesso Cannavaro, ai tempi della militanza del Parma, fu protagonista di una odiosa scenetta: ripresa da una telecamera mentre, consenziente - anzi, sorridente - si faceva una flebo non meglio identificata negli spogliatoi prima di una partita importante. E come il calcio, nel recente e meno recente passato, ha sempre avuto nei confronti del doping un atteggiamento che un eufemismo potrebbe definire: leggero. Complici vecchi regolamenti e sanzioni all'acqua di rose, si è assistito a calciatori dopati che invocavano innocenza parlando di improbabili pomate, farmaci e addirittura - nel caso del testosterone in eccesso - a pantagrueliche mangiate di cinghiale. Quel clima ha fatto sì che i regolamenti diventassero più ferrei, fino a sconfinare nell'esagerazione, come nel caso recente della squalifica mostruosa di due anni - poi fortunatamente ridotta - a Mannini e Possanzini, rei di non aver svolto le procedure antidoping nel modo corretto. Ora questo nuovo episodio. Un ritardo della posta? Una raccomandata smarrita? Un difetto di comunicazione? Speriamo. Tra poco il procuratore Torri si farà un'idea precisa. Di sicuro sarà bene che tutti, ma proprio tutti in futuro stiano molto attenti in materia di doping e di antidoping. La credibilità del sport - e de calcio - su questo tema, non garantisce troppe aperture di credito.