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Allarmante assenza di risposte

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Nonso da dove cominciare. Non so bene con quali occhiali osservare la crisi della nostra Atletica, quale sia la prospettiva migliore, l'angolo che mi consenta di rilevarne al meglio i dettagli. Questo mi conferma, se non altro, di quanto sia grave il problema e di quanto si sia involuto tutto il movimento. Non voglio farmi condizionare dalle ombre del passato, ma nemmeno posso dimenticare gli oltre quarant'anni che, a vari titoli e responsabilità, mi hanno fatto sentire orgoglioso di essere parte di una nobile famiglia. La crisi dell'atletica non nasce dal nulla, non si è manifestata improvvisamente. A tutto questo si è risposto senza il minimo provvedimento strategico, ma con provvedimenti tampone e iniziative di piccolo cabotaggio. Si pensi al reclutamento e ai giovani: nessuna idea che uscisse dal riciclaggio, linguaggi vecchi e privi di entusiasmo. Dov'è finito il senso di appartenenza ad un movimento sportivo caratterizzato da evidente superiorità culturale che non era espressione di arroganza ma di un naturale stato delle cose? Essere atleta ti faceva sentire un qualche cosa non di unico, ma sicuramente un qualche cosa di speciale. Essere allenatore di atletica ti dava un senso di appagamento professionale senza prezzo. Essere dirigente di società ti rendeva consapevole di realizzare qualche cosa di socialmente e pedagogicamente utile. Dov'è finito tutto ciò? Perché si è perso tutto ciò? Idee significano uomini. E questi, con grave colpa di tutto il movimento, sono quelli che sono venuti a mancare. L'Atletica, proprio perché è l'Atletica, si può consentire di dichiarare il suo stato fallimentare e ricominciare da zero. Per fare questo, chi di dovere dovrebbe metterci la faccia, operando nel quotidiano, impegnando il prestigio personale e di tutto il movimento a livello politico, a livello politico-sportivo, imprenditoriale e mediatico. Ma occorre ferocia, testardaggine, fantasia per vendere un'idea di atletica che in questo momento è un vuoto quasi assoluto. E qui non si ricorra ancora una volta, e noiosamente, all'alibi ormai rituale che identifica la colpa di tutto ciò nel fallimentare rapporto tra sport e scuola. Dovessi qui elencare tutte le idee che mi frullano per la testa non basterebbero tutte le pagine del giornale, potrebbero essere anche la base per un programma elettorale, ma non è questo il caso. Ripartire da zero significa ricostruire quella rete di capillari che erano la forza culturale dell'atletica. Significa tornare a occupare con la forza del proprio messaggio tecnico il territorio. Significa preoccuparsi furiosamente della rivitalizzazione di tutte quelle società tradizionali che sono l'essenza del tutto. Ridare motivazioni. Una cosa ho imparato dai tanti maestri che ho avuto e dalle tante esperienze che ho vissuto: una società di atletica è una scuola formidabile, è uno strumento di formazione e crescita di dirigenti, di allenatori, di atleti che non ha surrogati. Questo significa lavorare per il futuro! Questo e solo questo deve essere il primo ed esclusivo obiettivo se si vuole rimettere veramente in moto la macchina. La gestione del presente è banale. Un giorno si vedrà. Per ora mi basterebbe che l'atletica ritrovasse, e tornasse a manifestare orgoglio di sé, con umiltà, dalla sua anima. Solo un piccolo problema: per fare ciò bisogna avere coraggio.

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