L'Italia ferma sui pedali
No, non ce l'ha proprio fatta. Non ce l'ha fatta, Cadel Evans, stremato da 262 km di Mondiale e un ultimo giro corso con l'anima in acido lattico. Non ce l'ha fatta, il nuovo Campione del Mondo di ciclismo, a sostenere l'ultimo sforzo della giornata, a trattenersi tutto dentro, a fare il signore fino in fondo. E l'ha urlato, il suo sentimento rimasto fin qui compresso, l'ha urlato dapprima con la sua non-esultanza sotto lo striscione di Mendrisio, e poi ai microfoni dei giornalisti: «Questa è la mia risposta alle critiche, ai tanti dubbi di tutto il mondo su di me». Il povero Cadel, in effetti, si porta da anni appresso la fama di corridore più perdente del ciclismo contemporaneo, del resto cosa penserebbero i più di un uomo che si presenta al grande pubblico conquistando la maglia rosa (Giro d'Italia 2002) alla penultima tappa di montagna e il giorno dopo, sull'ultima salita, perde un quarto d'ora? Di uno che inanella un paio di secondi posti consecutivi in due Tour che avrebbe potuto (o dovuto) abbordare (2007 e 2008), e che tra una sfortuna e l'altra strappa un podio a una Vuelta (2009) che con un po' meno di iella avrebbe potuto tranquillamente vincere? Quel che si è detto fino a ieri. Certo, la vittoria di un titolo Mondiale cambia molto, se non tutto. Ora l'ex perdente venuto dall'Australia si porterà in giro per il mondo per tutto un anno questa bella maglia dai colori dell'arcobaleno, e la riconsegnerà proprio nella sua Melbourne, sede della kermesse iridata nel 2010. E quando avrà la lucidità adatta a rileggere la sua indimenticabile giornata svizzera, capirà che in fondo l'etichetta di sconfitto gli ha anche giovato, nel concitato finale in cui forse più d'uno ha sottovalutato l'azione dell'australiano. O magari era solo questione di gambe, chi le aveva andava al traguardo, chi non le aveva si piantava sull'ultima salita. L'Italia l'ha perso, il Mondiale, non ci sono troppe scuse da cercare. L'ha perso anche se ha «fatto la corsa», all'attacco già a oltre 100 km dalla fine con tre uomini (Visconti, Scarponi e Paolini) più il campione uscente (Ballan), poi in prima linea nel gruppo dei big (con Basso e Pozzato) al penultimo giro, quando si è trattato di ricucire su una fuga che si era trascinata per sei tornate e che ormai non ci vedeva troppo ben rappresentati (nel drappello dei battistrada, i superstiti Ballan e Paolini erano non freschissimi, e per di più in inferiorità numerica rispetto a belgi e spagnoli). Ma se l'ingresso nell'ultimo giro (preannunciato da un allungo di Vinokourov) vedeva tre azzurri (Cunego, Basso, Pozzato) in un gruppo di 20, l'ultima scalata all'Acquafresca lasciava il solo Damiano coi 10 migliori. E il veronese, che non è Bettini e non è colpa sua, non ha trovato la forza per seguire Evans quando, ai 6 km, l'australiano se n'è andato col russo Kolobnev e lo spagnolo Rodríguez. Tre attaccanti che in quest'ordine (dopo che Cadel, sull'ultima scalata a Torrazza, aveva fatto il vuoto, involandosi solitario) si son presi le medaglie. A Cunego resta l'ottavo posto. All'Italia pochi rimpianti.