Capitale a rischio black-out, frenano le grandi
Ha rischiato il blackout totale, il calcio capitolino. Meriti da una parte, fortuna dall'altra, hanno consentito il ritorno di preziosi lampi di luce, tanto da poter archiviare questa sesta giornata senza drammi, anche se con umori differenti. Molto ha infatti da rimpiangere la Lazio: quel Palermo che a metà settimana aveva rifilato tre gol alla Roma, vedendosi raggiungere nei minuti finali, per un pari per altro onestamente guadagnato dai romani, all'Olimpico ha recitato un avvilente ruolo da comparsa. Hanno dominato i laziali, difesa improvvisata con Del Nero sulla fascia sinistra, collezionando occasioni da gol ed esaltando il giovane portiere Sirigu, che Zenga aveva preferito, ottima mossa, all'incerto Rubinho di mercoledì. Poi lo stadio si è popolato di fantasmi quando Muslera, fin qui rendimento elevato, si è lasciato beffare da un destro occasionale di Cavani, siciliani incredibilmente avanti. L'assedio feroce ha però prodotto il tiro al piccione, soprattutto dopo la felice ispirazione di Ballardini di mandare in campo Tommaso Rocchi. Zarate, che aveva prodotto sfracelli senza raccogliere adeguatamente in cifra utile, ha concretato utilmente l'ennesima prodezza, purtroppo nei pochi minuti mancanti è mancato il suggello su una delle tante palle-gol create. Rimane il conforto di una prestazione che vale a cancellare le ombre emerse nelle ultime partite, dopo che l'avvio di stagione aveva suscitato nel tifo sogni da tempo dimenticati. Valutazioni di segno opposto nel punticino lucrato a Catania da una Roma a lungo specchio delle immagini da incubo di Basilea. Daniele De Rossi, che ha firmato il pari in quella che è diventata la «zona Ranieri», ha onestamente ammesso, secondo suo costume, come la squadra abbia segnato un allarmante passo indietro. Ma forse è diventata una deplorevole abitudine, dopo il dramma di due anni fa, scendere in campo al Cibali quando la partita è cominciata da un'ora buona. Stavolta è andata meglio rispetto alla scorsa stagione, quando il gran finale non era bastato a colmare il triplo svantaggio. Per fortuna Morimoto, tradizionale eversore dei romanisti, non è andato oltre il gol del primo tempo, frutto di una vacanza mentale della difesa, nella quale tornava Mexes, presto infortunato e sostituito da Juan che, dicono, non stava benissimo. E quando mai? Non era stato impeccabile neanche Julio Sergio, in quella convulsa azione che aveva ribadito i consueti impacci sulle palle inattive, però almeno il portiere avrebbe trovato tante occasioni di riscatto, onorate al meglio. Sotto tono i protagonisti più attesi, a cominciare dal brutto compleanno di capitan Totti, da salvare i soliti De Rossi e Burdisso, un pilastro in più da allineare a quelli tradizionali. Del tutto negativo l'apporto di un Pizarro stranamente lezioso e velleitario, ancora bocciatura per Menez, spedito in tribuna, ma Ranieri sa bene su quali problemi dovrà concentrare un lavoro da troppo poco tempo avviato per legittimare qualsiasi giudizio. Messi da parte i peccati «capitali», l'autentico botto del pomeriggio lo ha prodotto il Bologna, andando a vanificare il primato in classifica che la Juve si era guadagnata con il gol di Trezeguet. Però, come ha lucidamente ammesso Ciro Ferrara, di occasioni da gol gli emiliani ne avevano create tante, fino a legittimare in pieno il bel gesto di Adailton, entrato a gioco lungo. Quella rete, l'avrà festeggiata senza ritegno la Sampdoria, spettatrice interessata: resta sola a guidare una classifica cortissima, nella zona alta l'incredibile Totò Di Natale inserisce l'Udinese, cade ancora il Genoa mortificato poi dal raddoppio di Pepe. Grande colpo del Cagliari a Parma, secondo successo esterno a cancellare l'ormai abituale partenza con il freno a mano. Torna a vincere il Napoli, ma rimangono i segnali di crisi, testimoniati anche dall'addio di Pierpaolo Marino. Ha chiuso il sipario il Milan, ancora il Bari a San Siro dopo il pari imposto all'Inter, figura ancora migliore, gioco e occasioni tutti per i pugliesi, tutti per i rossoneri i fischi.