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Pietro non fallì l'ultima occasione

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L'esordioai 2.280 metri della capitale centroamericana avvenne il 3 settembre, in un meeting internazionale. L'azzurro vinse la sua serie sui 200 metri in 19.8, tempo manuale. Il giorno successivo scese in pista sui 100. Bruciò il rettilineo in 10.01, primato europeo, aggiornando il record realizzato sette anni prima dal sovietico Valery Borzov sulla pista di Monaco di Baviera. Prima delle Universiadi, sei giorni di allenamento. Puntuale, ogni pomeriggio, la pioggia. Rara la presenza di pubblico nello stadio universitario, tribune gonfie solo nella bellissima ed ariosa cerimonia di apertura. Il 10, batterie dei 200. L'azzurro fermò i cronometri a 19.96, primato europeo. Ma fu, soprattutto, un segnale premonitore: Tommie Smith era vicino. Il giorno dopo, semifinali e leggera flessione, 20.04. Una smorfia d'insoddisfazione sul volto dell'atleta e la prudente riflessione di Vittori: domani Pietro avrà sulle gambe le due gare, e sarà dura. Il domani fu il 12 settembre, l'orario, le 15.15. Duecento, 300 spettatori in tribuna. Otto finalisti in pista, Mennea in quarta corsia. Era l'ultima occasione, e l'italiano ne era cosciente. Il cronometro, 1.8 di vento a favore, 6 metri di vantaggio sul polacco Leszek Dunecki, gli dette ragione. E quel tempo gli restò appeso alla pelle 17 stagioni, perla di una grande carriera: primato mondiale, titolo olimpico, quattro finali olimpiche consecutive, unico nella storia della velocità, da Monaco '72 a Los Angeles '84, quattro titoli europei.A. F.

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