Ma dov'è il Bel Gioco? Basta vincere
Aleggere e a sentire pare che vi sia un gran bisogno di Bel Gioco. Mi riferisco alla Nazionale di Lippi, reduce dall'inguardabile ma fortunata vittoria sulla Georgia (e Dio sa quanto conti, la fortuna, nei tornei mondiali) perché il grido di dolore oggi si leva forte da una critica estetizzante e dal popolo tifoso dell'Azzurro, questo prontissimo, alla fine, ad accontentarsi del dolce palliativo che si chiama Vittoria. L'invocazione al Bel Gioco è nella tradizione italica e parte da lontano: in Casa Italia almeno dai tempi in cui Vittorio Pozzo non volle portare ai Mondiali del '34 e de '38 Fulvio Bernardini, il Bel Giocatore assoluto dai piedi buonissimi; il CT fu bombardato di critiche (anche mussoliniane, seppur con giudizio) ma pur priva del mio caro «Fuffo» l'Italia vinse il trofeo mondiale due volte. Bel Gioco chiedevano anche a Bearzot quando, nell'Ottantadue, osò andare in Spagna senza Beccalossi (nè Pruzzo bomber), beccandosi insulti sanguinosi: eppure quell'Italia vinse e gioco alla grande. Non per Arrigo Sacchi che conobbi al ritorno da Madrid e mi disse: «Va bene il titolo, ma dov'è il Bel Gioco?». Lui ci provò, nel '94, e il gioco non fu un granché e perdemmo la finale contro un Brasile pieno di mezze figurine provenienti dal nostro campionato. Ci fu, è vero, una stagione di Bel Gioco, con l'Italia guidata da Edmondo Fabbri (poi vennero i corregionaliVicini e l'Arrigo): alla vigilia del Mondiale inglese del Sessantasei gli azzurri di «Mondino» fecero sfracelli, esibirono un calcio raffinato, entusiasmante, batterono per 3 a 0 il Brasile. Poi ci pensò la Corea del Nord a ridimensionarci. Da allora, la mia filosofia calcistica è stata ispirata da un banale proverbio, «Il Bel Gioco dura poco», che Lotito potrebbe saggiamente tradurre in «Ludus bonus non sit nimius». Il troppo stroppia, diceva il nonno: ed ecco che con un calcio non necessariamente spettacolare si arriva a spettacolose vittorie mondiali che fanno dell'Italia il vero avversario del Grande Brasile. Non mi perderò in riferimenti sovrabbondanti, per difendere la lodevole parsimonia della Nazionale: nel 2006, il momento topico fu costituito dalla striminzita vittoria sull'Australia, ottenuta al 93' con il rigore realizzato da Totti che ci spedì con sofferenza ma felici ai quarti; proprio come nel '38 un rigore di Meazza al Brasile (e Peppin lo segnò nonostante nella rincorsa gli fossero cadute le mutandine) ci avviò alla finale. È vero, ci son limiti al Brutto Gioco, e speriamo che Lippi, dopo la inguardabile ma vittoriosa partita con la Georgia, sappia far di meglio domani sera con la dura Bulgaria che nel frattempo s'é messa a sognare.