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Leonardo al debutto col rebus Dinho

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Apoche ore dalla prima panchina ufficiale Leonardo è concentrato solo sul Milan, e in particolar modo sulla «perla» che gli ha affidato Berlusconi, Ronaldinho. Intanto il tecnico brasiliano regala serenità al calcio italiano. «Non voglio fare il bravo ragazzo», si schernisce. Si vede però che ha trasferito le doti diplomatiche sviluppate come dirigente in panchina, dove si è seduto «non per fare carriera, ma per rispondere alla chiamata della società». Fatto sta che dalla sfida di Siena conteranno pure i risultati. Nel test con la Juve Leonardo ha visto anche segnali di crescita dopo i problemi e le fatiche («un po' inaspettate») della tournee estiva. Inter e Juve si sono rinforzate, «ma non si può dire chi siamo noi in base alle amichevoli. Conosciamo i nostri impegni, i proclami sono inutili. Partire bene - aggiunge - è importante ma non determinante: pensiamo a vincere e gara dopo gara». Scudetto e Champions sono parole da centellinare. Ma non l'ottimismo. «Finalmente ho quasi tutti a disposizione. Ora - continua Leonardo - la squadra deve riscoprire l'umiltà di chi non ha mai vinto e mixarla con la consapevolezza di chi ha vinto tutto». Parla spesso di motivazioni, questo allenatore un po' psicologo, che ha il suo bel daffare con Ronaldinho, tema caldo già fra Ancelotti e Berlusconi. Vicino all'area come vuole il patron o mezzapunta come pensa l'allenatore, il fantasista brasiliano è chiamato a un ultimo appello. «È il suo momento, ora o mai più», avverte Leonardo. Al salto di qualità è chiamato anche Pato. «È cresciuto fisicamente, sta diventando uomo e sono certo che possa superare i 15 gol dell'anno scorso», si sbilancia il tecnico, che al suo debutto dovrà fare a meno dello squalificato Huntelaar, e - eccetto Thiago Silva e Storari - a Siena si affiderà ai soliti noti, a partire da Inzaghi.

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