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Quella liturgia noiosa imposta dai nostri atleti

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Sappiamocosa dicono gli italiani. Ringraziamenti e saluti. Al papà, alla mamma, al figlio, alla figlia, al compagno, alla fidanzata, all'allenatore personale, a quello federale, allo psicologo, al fisioterapista, alla federazione, alla società. Immutabili, salvo sagge eccezioni, quale che sia il risultato. Una sindrome, una liturgia noiosa, stantia, provinciale, patetica, sintomo di un ambiente in cui prevale evidentemente una filosofia perdente, dove "esserci" è sufficiente e dove il semplice superamento di un turno eliminatorio è motivo d'esultanza. Come si tratti di un obbligo contrattuale, nel gioco si distinguono le società militari, tutte le fiamme, gialle, oro e azzurre, ed esercito, forestale, carabinieri. Presente Andrew Howe, avremmo aggiunto l'aeronautica. Che qualcuno della infinita carovana federale presente a Berlino al seguito degli atleti provi ad invertire la tendenza? Improbabile. E il vezzo diventa malvezzo. E la sindrome, noiosa, stantia, provinciale, patetica. A.F.

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