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Il fenomeno torna subito in pista per i 200

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Ancorain pista, qualche ora dopo, per i quarti di finale. Semifinali, domani pomeriggio. Finale, alle 20.35 di giovedì. Della distanza, il giamaicano è primatista mondiale, con il 19"30 realizzato a Pechino. Come per la finale dei 100, corsa il 17 agosto a Pechino come a Berlino, la cabala denuncia la coincidenza anche per la finale dei 200. E il giorno dopo, con mamma Jennifer, papà Wellesley, il fratellino Sadiki, il ministro dello sport Olivia Grange e la folta truppa giamaicana di stanza a Berlino, Bolt festeggerà i suoi 23 anni. Senza strafare, perché c'è un impegno collettivo da onorare: ancora in campo, venerdì pomeriggio, per il turno eliminatorio della staffetta 4x100, con l'appuntamento finale il pomeriggio successivo, penultimo giorno di un mondiale che alla sua chiusura dovrà elevare al cielo un monumento al giamaicano, finanziato, in ugual misura, dagli organizzatori tedeschi e da una federazione internazionale bisognosa di attenzioni e incassi. Non è mai stata retorica evocare Jesse Owens scrivendo di Bolt. Generazioni di distanza, situazioni storicamente uniche, e dunque irripetibili, ma identica capacità di lasciare una traccia incancellabile nell'evoluzione dello sport. Del vincitore del 1936, dell'uomo che proveniva da un lurido villaggio dell'Alabama e che nella stagione precedente, sul campo di Ann Arbor, in 45 minuti, aveva battuto e uguagliato sei primati mondiali - impresa insuperata nella storia dell'agonismo pansportivo - nel parco di Oakville esiste una statua dove è scritta la speranza che la fiamma dello sport possa brillare per l'anima dell'umanità. Frase sublime, scritta per un uomo prima che gli dei dello sport andassero in esilio. Anche a Bolt, sempre che qualche divinità superstite lo consenta, faranno un monumento, a Kingston, come accadde anni addietro per il connazionale Arthur Wint, quattro medaglie olimpiche tra il '48 e il '52, progenitore, con Herb McKenley e George Rhoden, del formidabile serbatoio atletico giamaicano.

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