Augusto Frasca Cultori e puristi inorridiranno.
Accadràdomani sera, alle 21.35, nello stesso stadio che settantatre anni fa costrinse i libri di storia dello sport ad aprirsi alla favola superba di un atleta dell'Alabama discendente diretto degli schiavi neri d'oltre Oceano. Accadrà quando lo starter berlinese libererà dai blocchi di partenza della finale dei 100 metri gli otto uomini più veloci del mondo, tutti dietro il fantasma di Jesse Owens lungo i segmenti sottili delle corsie, quelle corsie cui un atleta, un velocista, un uomo, affida tutte intere la sua forza e la sua fragilità, e dove il traguardo rappresenta senza scampo l'epifania di un sogno o la diagnosi di una sconfitta. Per giungere alla prova della verità e al traguardo finale di una gara che nella cadenza frenetica dei suoi rari passi costituisce l'alfa e l'omega dello sport, i preliminari prendono avvio nella mattinata di oggi con la disputa dei turni eliminatori. Poi, nel pomeriggio, avverrà la seconda scrematura, da cui si spera emerga un italiano, rinviando al giorno dopo la terza tappa intermedia prima della finale. Un nome, alla vigilia, s'impone su tutti, ed è quello di Usain Bolt, il ventiduenne giamaicano che nella scorsa stagione scese in terra sulla pista olimpica di Pechino per stupire il mondo, per accorciare le distanze dai limiti umani e per azzerare primati e dettati tecnici. Esploso in Cina con le strepitose affermazioni individuali e con relativi record mondiali sui 100 e sui 200 metri, con l'aggiunta del successo del quartetto giamaicano nella staffetta veloce, nell'intervallo tra i due grandi eventi, in ogni uscita agonistica Bolt ha sistematicamente confermato una inviolabile superiorità. L'unico in grado di incrinare la totalità dei pronostici che vedono primo sul traguardo tedesco l'uomo che guadagna duemila euro ad ogni metro e che fa di ogni impresa uno spettacolo, poco contando su Asafa Powell, destinato a farsi risucchiare, è Tyson Gay. Lontano da Pechino per infortunio, lo statunitense è campione mondiale in carica con i tre successi firmati ad Osaka nel 2007 nelle stesse gare dominate sulla pista cinese dall'avversario. La contabilità statistica gli assegna il miglior tempo stagionale, il 9"77 realizzato sotto gli occhi del pubblico romano al recente Golden Gala, due centesimi meno di quanto realizzato a metà luglio da Bolt sulla pista di Parigi, con un leggerissimo vento a sfavore. Ma i tempi, in atletica, non sempre costituiscono il parametro più affidabile. Gli stessi primati sono costretti a cedere il passo dinanzi alla prova del nove che da sempre, nello sport, è rappresentata dallo scontro diretto, dove ogni persona è un mistero. Un conto è correre contro se stessi, altro è battere, sotto tensione, l'avversario. È probabile che Bolt si sottragga alla trappola e alla bulimia di superiorità cui ha abituato il prossimo dalla scorsa stagione. E che, salvo perdere vistosamente nelle fasi di avvio, mantenga inalterato per tutto il rettilineo un potenziale che appare sovrumano, lasciando in tal modo traccia della sua invincibilità sull'ennesimo traguardo, dando poi appuntamento giovedì sera ad una ipotetica rivincita sulla distanza doppia. Questo, dunque, accadrà tra oggi e domani, in non più di quaranta secondi, nelle stesse ore in cui l'Italia atletica affida al cuore e alle gambe di una ventinovenne di Cuneo, Elisa Rigaudo, di un ventitreenne allevato ad Ostia, Giorgio Rubino, e di uno degli infiniti prodotti della scuola milanese di marcia, Ivano Brugnetti, una fetta consistente delle proprie attese. Poi, venerdì mattina, ad arricchire le prospettive azzurre, toccherà all'olimpionico Alex Schwazer, atteso tra i grandi, come Yelena Isinbayeva, scialba nelle ultime esibizioni ma sempre zarina dell'asta, e come Kenenisa Bekele, padrone, da stagioni, nei caroselli dei giri di pista dei 5 e 10mila metri.