Troppo calcio fa male al nostro sport
Il calcio non si concede (e non concede) ferie. Il campionato è ancora lontano, le squadre hanno appena ripreso la preparazione eppure è sempre il pallone a tenere la ribalta. Roma si appresta a vivere i mondiali di nuoto nella speranza di nascondere dietro i risultati dei nostri campioni (Pellegrini, Filippi, Rosolino, Cagnotto) le incertezze ed i ritardi di una macchina organizzativa che dovrebbe celebrare contemporaneamente le nostre qualità (inventiva, rapidità) ed i nostri difetti (improvvisazione, litigiosità). C'è un italiano in maglia gialla e nessuno se n'è accorto, una volta il Tour faceva palpitare gli italiani, nel 1948 ha perfino aiutato a calmare gli animi. Valentino Rossi cerca di farci dimenticare i problemi della Ferrari, la scherma si conferma il salvadanaio del nostro sport, addirittura nel golf stiamo uscendo dall'anonimato. Ebbene la notizia del giorno, a leggere tutti i giornali, nessuno escluso, è un'operazione di mercato calcistico che dovrebbe portare Ibrahimovic al Barcellona ed Eto'o all'Inter. Mi chiedo cosa c'è di sbagliato ma è evidente che sbaglio io a sorprendermi. I giornali non sono delle opere pie, non fanno beneficenza, devono vendere ed è evidente che Ibrahimovic interessa più della Pellegrini, di Valentino Rossi, non parliamo di Nocentini. La sola ipotesi (è rimasta sempre tale, senza raggiungere il rango di notizia) di una possibile vendita della Roma ha tenuto banco per oltre un mese. È quasi un miracolo che in questo clima lo sport italiano riesca ugualmente, non solo alle Olimpiadi ma in molte altre competizioni internazionali, ad ottenere risultati clamorosi. Del resto lo stesso calcio, con tutti i suoi difetti ed il suo monopolio dell'informazione, non ci fa mancare le soddisfazioni se è vero che per quattro volte siano stati campioni del mondo e può permettersi anche di fallire obiettivi secondari (Confederations Cup) e di far fallire molti club per la cronica incapacità dei suoi dirigenti di amministrare con saggezza le proprie risorse. Un difetto-prerogativa che non è solo del calcio ma anche del basket se Rieti è costretta a trasferire la propria squadra a Napoli e se una gloriosa società come la Fortitudo si è fatta travolgere dai debiti.Il caso Rieti-Napoli rappresenta la versione italiana di quei trasferimenti che negli Stati Uniti sono ordinaria amministrazione. Si tratta di avere i club nelle città che possono permetterselo e rappresenta la resa di valori e tradizioni che il professionismo ed il denaro hanno spazzato via senza che ci sia colpa di nessuno. La Callas poteva cantare solo al Metropolitan o alla Scala, Cassano non avrebbe mai potuto concludere la sua carriera a Bari (che pure non è un piccolo borgo) o Del Piero a Conegliano. Se poi agli italiani interessa di più il destino di Ibrahimovic piuttosto che quello di Federica Pellegrini facciamocene una ragione oppure chiediamoci dove abbiamo sbagliato.