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Il nostro calcio, la nostra storia

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Meazzae Piola, Mazzola e Rivera, Zoff e Gentile, fino a Pirlo, Buffon e Cannavaro dell'estate 2006, incrociati con le cronache centenarie di genti che affidarono all'antica e inospitale palla di cuoio esaltazioni, sogni, vulnerabilità, interessi, fino a farne nel tempo colossale mantide religiosa collettiva e rituale quotidiano nei bar, negli uffici, nelle famiglie, nei potentati politici e finanziari. Il museo è quello collocato nella parte nobile del Centro tecnico federale di Coverciano intestato a Luigi Ridolfi, mecenate dello sport che tra gli anni '30 e '50 lasciò impronta indelebile nella crescita delle due maggiori discipline sportive nazionali, il calcio con la sua immensa popolarità ed il potente impatto sociale, l'atletica con la superiore matrice culturale e pedagogica. Di museo, di calcio come guerra simulata e specchio dei tempi, di successi, di curiosità, di dirigenti come Giorgio Vaccaro e Artemio Franchi, s'è parlato sinteticamente ieri mattina nella sala Zanardelli del Vittoriano. Con Giancarlo Abete, presidente federale, assistito dai due dirigenti che misero mano alla preziosa raccolta museale, Mario Valitutti e Fino Fini. Con Umberto Broccoli, un'antica, eccellente frequentazione agonistica nella pallavolo, ora sovrintendente ai beni culturali della capitale e da tempo diffusore radiofonico di rara costanza. E con Antonio Ghirelli, fuoriclasse dell'informazione con le fondamentali esperienze vissute a fianco di Sandro Pertini al Quirinale e di Bettino Craxi a palazzo Chigi e nelle direzioni di Corsport, Tuttosport, Globo, Avanti, TG2. Inevitabili i riferimenti alle affermazioni storiche della nazionale. Dalla triplice conquista di Vittorio Pozzo ai Mondiali del '34 e del '38 e ai Giochi olimpici del '36, passando in successione al trauma vissuto nell'immediato dopoguerra con la tragedia di Superga e con la scomparsa, con il Torino, del miglior calcio dell'epoca - un'Olanda ante litteram, dirà Ghirelli - celebrando il successo continentale del '68 e l'Italia in strada due anni dopo nell'impazzito post partita dell'Italia-Germania del 1970, rievocando la vistosa partecipazione pertiniana nella finale spagnola del 1982 a fianco d'un filiale Juan Carlos e l'affermazione dei ragazzi di Enzo Bearzot. Con l'ultima perla, infine, segnata dal quarto titolo mondiale nel luglio del 2006, con l'azzurro in terra e in cielo. Quasi un secolo, nella fatale tessitura di vincitori e vinti, di eroismi e di profanazioni, ricetta onnivora del gioco più bello del mondo.

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