Il pallone azzurro s'è sgonfiato
Diamociuna bella regolata. Perché a forza di dire che siamo i campioni del mondo, che il nostro è il calcio migliore di tutti, il più «sgamato», tatticamente accorto ed efficace, in tanti hanno messo la freccia e ci hanno sorpassato. L'ultima delusione da quel territorio, l'Under 21, spesso prodigo di soddisfazioni. Noi che giochiamo bene, ma sprechiamo, la Germania - che come amava dire Pesaola «ci ruba la intenzione» - gioca di rimessa e speculare e all'ultimo ci beffa andando in finale. Nemmeno tra i giovani il nostro pallone riassapora il dolce sapore della gloria. Ed allora sembra proprio necessaria una rivisitazione totale del nostro movimento, di ciò che noi intendiamo come pallone. La prima necessità sta negli atteggiamenti. A cominciare a quelli dei nostri più visibili rappresentanti. Il presidente federale Giancarlo Abete - commissario straordinario della Lega e dunque, autentico plenipotenziario del nostro pallone - ma anche il cittì della nazionale Marcello Lippi: i gradi di campioni del mondo sono opachi, da dimenticare. Basta con la tarantella di un'Italia che è ancora la detentrice: se sulla carta è vero, nella realtà sappiamo tutti - e la Confederations Cup ce lo ha sbattuto in faccia - che non è più così. E se anche i più giovani, quelli che dovrebbero essere la linfa vitale di una nazionale maggiore - diciamo la verità - un po' «bollita», fanno cilecca, allora è proprio il caso di rimboccarsi le maniche e percorrere con coraggio le strade che riconducono la nostra Italia del pallone verso percorsi più consoni. Non siamo i migliori, non lo siamo più e soltanto con questa precisa consapevolezza potremo lavorare per il futuro che, tra un anno esatto, ci condurrà al mondiale del Sud Africa. E sarà bene che il discorso coinvolga anche le squadre di club. Il basket sta litigando di brutto sull'idea di utilizzare gli stranieri senza limiti. Qui non si tratta di andare contro le leggi e contro una società sempre più multirazziale, dove le etnie diverse convivono - almeno lavorativamente parlando - senza gli steccati di una volta. Ma di puntare sui giovani, con uno spirito e una determinazione che molti - troppi - nostri club hanno dimenticato. Se non si punta sui giovani, non si va da nessuna parte. Il Barcellona splendido campione d'Europa con sei undicesimi che arrivano dal vivaio, ce lo dimostra nel modo più lampante.